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Eddie Vedder, John Lennon e una stella cadente

In ogni epoca fare musica e ascoltare musica può essere considerato come un collante di gruppo: nei campi di cotone, nelle risaie, nelle marce degli alpini, a Woodstock, ai concerti dei Beatles, nei rave: la musica è il collante di un’identità.

Ascoltare, ballare o suonare un certo tipo di musica è un modo per affermare la propria identità e sentirsi parte di una collettività. I concerti possono essere visti come dei grandi rituali collettivi: migliaia di persone unite dalla musica. Si canta, ci si emoziona, si balla; uno scambio fatto di sudore, passione, movimento e adrenalina.

Cosa succede quando l’energia di migliaia, anche decine di migliaia, di spettatori viene convogliata dalle stesse onde sonore e veicolata dalla stessa vibrazione?

«Succede che persino il cielo si commuove e gioisce con te» risponde Paola Maugeri nel suo libro “Resilienza” raccontando di un concerto magico, quello di Eddie Vedder, leader dei Pearl Jam, al Firenze Rocks del 2017.

Scenografia intimista perfetta, migliaia di persone pronte a un avvenimento speciale: il più grande concerto della sua carriera solista. (…) Un viaggio musicale intimo attraverso i pezzi più conosciuti dei Pearl Jam, quelli più toccanti dei suoi album solisti e alcune canzoni tra le più rappresentative che hanno trasformato la Visarno Arena in un amabile salotto sotto il cielo stellato.

In quell’atmosfera quai intimista, Eddie Vedder ha dedicato un bellissimo pensiero a John Lennon, sottolineando quanto “Imagine” sia stato un pezzo visionario, ma allo stesso tempo anche profondamente realista, e auspicando che il mondo vada nella direzione anelata dal geniale musicista di Liverpool.

Ed ecco che la vicinanza, la condivisione, l’afflato per un mondo migliore hanno creato un piccolo grande miracolo: sulle note finali di “Imagine” una magnifica stella cadente ha percorso luminosa il cielo facendo palpitare all’unisono i cuori di più di 50.000 esseri umani che, con il naso all’insù, si chiedevano a chi si doveva il piacere di quella perfetta sincronicità.

Nei giorni seguenti centinaia di messaggi increduli sono arrivati sui miei social: si trattava davvero di una stella cadente o di una trovata scenografica di altissimo livello? Era troppo bella e luminosa per essere vera, e com’era possibile che avesse lasciato la sua scia proprio sulle note di “Imagine”?

All’inizio pensavo si trattasse solo di battute scherzose, ma poi ho capito che in moltissimi avevano davvero pensato a una trovata della produzione.

Ebbene, temo che ormai siamo così abituati a vedere il mondo attraverso gli schermi di un telefonino da non sapere più riconoscere la realtà quando si palesa in tutta la sua bellezza e imprevedibilità, tanto da pensare che si tratti di finzione.

Quella stella cadente era vera!

Sì, vera!

Mandata dal cielo per ricordarci cosa può succedere quando ci lasciando andare alla bellezza della musica! Quando le note, i corpi e i volti parlando di pace e di libertà, non esistono più barriere, sovrastrutture, ipocrisie e ci sentiamo talmente liberi da godere appieno dell’amore universale che la musica può donarci. Amore per noi stessi, per gli altri e per il solo fatto di essere vivi!


da Paola Maugeri “Resilienza. Come la musica insegna a stare al mondo” ed. Pickwick, 2019 (pp. 207-211)


You may say I’m a dreamer, but I’m not the only one…”

Eddie Vedder “Imagine” (live, Firenze Rocks 2017)
(si vede anche la stella cadente, ultimi secondi del video a fine canzone)

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La musica nel cinema, molto più di un sottofondo

La musica è un potente mezzo di comunicazione e, forse, la più potente forma di espressione capace di superare la parola. Di questo ho parlato in precedenti articoli (come Musica, comunicazione e lingugaggio e La musica non è un linguaggio universale), ma cosa succede se questo speciale “potere” della musica viene fuso con un’altra arte come, ad esempio, quella cinematografica? Si può creare un’esplosione di emozioni che hanno una grandissima capacità di imprimersi nella memoria.

La musica nel cinema ha sempre svolto un ruolo fondamentale affiancando le immagini: non è quasi mai solo un commento musicale, ma è un vero e proprio valore aggiunto alla scena. L’uso di una particolare musica abbinata ad un’immagine racconta più di quello che l’occhio ci suggerisce. Può essere di rinforzo alle emozioni, di contrasto a ciò che accade sullo schermo o presagio di ciò che sta per avvenire, con un sorprendente effetto di potenziamento delle suggestioni trasmesse dalla pellicola.

I film, la televisione e i media audiovisivi in generale non si rivolgono solo all’occhio, ma suscitano nello spettatore una specifica disposizione percettiva che si chiama audiovisione.
Una combinazione che si influenza l’una con l’altra:
non si “vede” la stessa cosa quando si sente
non si “sente” la stessa cosa quando si vede

La storia della musica da film è parallela a quella del cinema, si è sviluppata ed evoluta seguendo le tendenze culturali e musicali ed ancora oggi continua ad essere parte integrante e fondamentale della produzione cinematografica. A partire dalle sue origini, dall’epoca del cinema “muto” che iniziò il 6 gennaio 1896 con la celebre proiezione del cortometraggio “L’Arrivée d’un train en gare de La Ciotat” dei fratelli Lumière:

Auguste e Louis Lumière “L’Arrivée d’un train en gare de La Ciotat” – 6 gennaio 1896
(45 secondi di silenzio assordante)


La musica interviene sul visivo rafforzandolo, accompagnandolo, commentandolo e a volte contraddicendolo e svelandone così degli aspetti più profondi. A questo riguardo molto ne ha scritto Michel Chion, il teorico che più di ogni altro ha studiato le funzioni del suono nel cinema, ed è proprio lui a parlare di “valore aggiunto”: “Valore espressivo ed informativo di cui un suono arricchisce un’immagine data, sino a far credere, nell’impressione immediata che se ne ha o nel ricordo che si conserva, che questa informazione o espressione, si liberi naturalmente da ciò che si vede e sia già contenuta nella sola immagine“.

La musica ha il ruolo importante e fondamentale di poter dire quello che la parola o l’immagine non dicono. Svelare dei movimenti psicologici, affettivi che non possono essere detti in nessun altro modo.

Su queste tematiche ho strutturato un corso in 4 video-lezioni che offrirà una panoramica sull’importanza della musica in cinematografia e l’uso sapiente che alcuni registi ne hanno saputo fare. Se volete saperne di più cliccate qui.


Per un approfondimento:
Michel Chion “L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema”, Torino, Lindau, 1997.
Roberto Calabretto “Lo schermo sonoro. La musica per film”, Venezia, Marsilio, 2010.

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La musica come affermazione della propria identità

In ogni epoca il fare musica può essere considerato come un collante di gruppo: nei campi di cotone, nelle risaie, nelle marce degli alpini, a Woodstock, ai concerti dei Beatles, nei rave: la musica è il collante di un’identità.

Ascoltare, ballare o suonare un certo tipo di musica è un modo per affermare la propria identità e sentirsi parte di una collettività come può essere la scelta di quali abiti indossare, che mezzo di trasporto usare o quali letture fare.

La Sociologia della Musica ha studiato come l’esperienza musicale svolga un ruolo importante nella formazione e nell’affermazione di identità individuali e collettive. Nel corso della nostra esistenza sviluppiamo un senso di appartenenza ad un determinato luogo, nazione, religione, parte politica, gruppo d’età, classe sociale… Sono forme di identità che la musica, attività sociale per eccellenza, aiuta a determinare, e alle volte anche ostentare, caricandole di un valore simbolico profondo ed efficace.

Il musicologo e sociologo Marcello Sorce Keller afferma che: «L’attività del far musica, i nostri gusti nel produrla, nell’ascoltarla, le nostre scelte di partecipare con altri ai riti a cui essa dà sostanza, costituiscono un ulteriore modo di chiarire a noi stessi e a chi ci osserva chi siamo (o perlomeno chi pensiamo di essere o desideriamo essere), con chi ci identifichiamo e con chi invece non desideriamo confonderci».

La musica, il far musica pertanto, è un’attività che, al tempo stesso, ci accomuna a qualcuno e ci separa da qualcun altro, sempre e ovunque.

Marcello Sorce Keller

Per trovare degli esempi non occorre andare molto lontano nel tempo, se ne possono ritrovare facilmente molti nel corso della storia del Novecento. Negli anni Cinquanta il Rock’n’Roll fu il primo caso in cui un genere musicale venne usato da un’intera generazione di ragazzi quasi come una bandiera e un mezzo per dare voce alla rottura con i valori della società dei loro padri.

Il Rock’n’Roll dall’America si diffuse poi in tutta Europa e formò una sottocultura giovanile che scelse a simbolo della propria identità quella particolare musica, anche se proveniva da un altro continente. Questo è un esempio di come si possa formare un “sound group” di persone che sceglie di adottare una certa musica come stile di vita per i valori che in essa vede rappresentati. Così accade oggi con generi musicali come la Trap, l’Indie Rock, il K-Pop e molti altri che fanno presa sulle giovani generazioni, ma che non catturano tutti coloro che a quegli ambiti appartengono.

La musica Classica europea, per secoli dominata dalla Chiesa e privilegio delle corti aristocratiche, nell’Ottocento è diventata un rito sociale appartenente alla borghesia. Le canzoni di una patria lontana invece mantengono vivi il sentimento di appartenenza degli emigrati; gli inni nazionali, le marce militari, le canzoni di protesta e i canti religiosi sono altri facili esempi. Mantenendo sempre validi altri generi musicali ormai classici e le loro relative differenti identità come Jazz, Blues, Pop, Rock, Punk, Metal. Ognuno nel tempo ha creato determinate sottoculture portatrici di specifici valori i cui fan, ieri come oggi, si sentono accomunati.

La propria identità sociale non è però fissa e univoca, si può far parte contemporaneamente di diversi gruppi sociali all’interno dei quali ci sono diversi gusti e generi musicali; poi si cresce e anche l’età e l’evoluzione personale contribuiscono alle scelte musicali. Insomma, quasi nessuno ama solo e per sempre un unico genere musicale.


Per un approfondimento:
Marcello Sorce Keller «Musica come rappresentazione e affermazione di identità». In: Tullia Magrini (a cura di), Universi sonori: Introduzione all’etnomusicologia, Torino, Einaudi.

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Nel mondo che faremo, Dio è risorto (Francesco Guccini)

“Dio è morto” è forse la canzone più famosa di Francesco Guccini, spesso erroneamente attribuita ai Nomadi. Guccini la scrisse nel 1965 e fu portata al successo dai Nomadi che per primi la pubblicarono nell’album “Per quando noi non ci saremo” del 1967 e con cui parteciparono anche al Cantagiro di quell’anno. Sembra sia stata la prima canzone depositata alla Siae da Francesco Guccini che, però, non la registrò mai in studio e la iniziò a cantare nei suoi concerti soltanto una decina di anni dopo.

Francesco Guccini è stato definito da Umberto Eco “il più colto dei nostri cantautori” e iniziò la sua carriera con un brano che oggi è tra i più belli non solo della produzione gucciniana, ma della canzone italiana. Guccini con la sua schiettezza disarmante scrive un inno contro il consumismo, quasi blasfemo nel titolo, ma straordinariamente intriso di spiritualità.

Nomadi – “Dio è morto” (1967)


“Dio è morto” è un titolo che richiama il noto aforisma di Friedrich Nietzsche, tra i più famosi della storia della Filosofia, contenuto nella Gaia scienza. Anche se in realtà, come da dichiarazioni dello stesso autore, la canzone prende spunto dal poema Urlo del poeta statunitense Allen Ginsgerg che inizia così: «Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate, nude isteriche, trascinarsi per strade di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa, hipster dal capo d’angelo ardenti per l’antico contatto celeste con la dinamo stellata nel macchinario della notte […].»

Avevo 25 anni e stavo studiando all’Università di Bologna (sembra strano, sono stato giovane anch’io). I primi sit-in e il Sessantotto erano alle porte, era mia intenzione scrivere qualcosa di generazionale. Stava arrivando qualcosa che avrebbe portato ad una nuova primavera, l’idea era questa, giocata su un registro fra l’apocalittico e l’esistenziale. (…) La prima incisione, dei Nomadi, porta nel titolo un punto interrogativo, oltre al sottotitolo fra parentesi “Se Dio muore è per tre giorni e poi risorge”.

Ma c’è un altro aneddoto su “Dio è morto”. Quando andavo all’università pensavo ad una carriera accademica. Fortunatamente ho cambiato strada! Avevo fatto tutti gli esami, mancava solo la tesi, ma mi bocciarono in latino, sui paradigmi, io ricordavo solo i più facili. Il professore disse all’assistente: «Lo sa che questo ragazzo ha scritto quella bellissima canzone che si chiama “Dio è morto?” [era stata appena incisa dai Nomadi]. Però, si ricordi, i paradigmi vanno chiesti a tutti». E mi dissero di tornare.

Francesco Guccini, dal libro “Il Vangelo secondo Francesco” di Giancarlo Padula

“Dio è morto” ha avuto una storia controversa: nell’aprile del 1967 venne censurata dalla Rai che si fermò alla forte affermazione espressa nel titolo e non comprese il significato del testo. La canzone in realtà non celebra la morte di Dio, ma proclama la necessità di una rinascita spirituale e morale. È una critica al falso moralismo, al vuoto consumismo, al perbenismo e all’ipocrisia.

Il messaggio venne colto dall’allora papa Paolo VI che la fece trasmettere da Radio Vaticana. Nel testo di Guccini, Dio non muore negli ideali di una società migliore, anzi: “in ciò che noi crediamo Dio è risorto, in ciò che noi vogliamo Dio è risorto, in ciò che noi faremo Dio è risorto“.

Francesco Guccini – “Dio è morto” (live 1982)


“Dio è morto” descrive con un linguaggio semplice e schietto un presente intriso di falsi miti e falsi dei. Guccini contesta ciò che ha avvelenato la società con una canzone manifesto che esorta alla nascita di nuovi valori morali e spirituali, che non siano dogmatici o privi di senso. Il testo inizia con un’affermazione che suona già come una protesta: “Ho visto”. Guccini denuncia l’abuso di stupefacenti, di alcool, i falsi miti della moda, la religione vissuta come un’abitudine, la corruzione, il razzismo…

Aggiunsi una speranza finale non perché la canzone finisse bene, ma perché la speranza covava veramente.

Francesco Guccini

“È una critica generazionale che si rivolgeva alla gente di allora, anche se ogni volta che la canto in concerto mi stupisco del fatto che i giovani la conoscano a memoria dopo tanti anni… Non riesco ad eliminarla dalla scaletta! Il merito, però, devo dire, non è del tutto mio, ma degli “sponsor” di queste canzoni (potrei ricordare anche “Auschwitz”), i razzisti e gli imbecilli che, a quanto pare, tornano periodicamente alla ribalta“. Francesco Guccini

(dal libro “Il Vangelo secondo Francesco” di Giancarlo Padula)


Ho visto
La gente della mia età andare via
Lungo le strade che non portano mai a niente
Cercare il sogno che conduce alla pazzia
Nella ricerca di qualcosa che non trovano
Nel mondo che hanno già, dentro alle notti che dal vino son bagnate
Lungo le strade da pastiglie trasformate
Dentro le nuvole di fumo del mondo fatto di città
Essere contro ad ingoiare la nostra stanca civiltà
E un dio che è morto
Ai bordi delle strade, dio è morto
Nelle auto prese a rate, dio è morto
Nei miti dell’estate, dio è morto

Mi han detto
Che questa mia generazione ormai non crede
In ciò che spesso han mascherato con la fede
Nei miti eterni della patria o dell’eroe
Perché è venuto ormai il momento di negare
Tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura
Una politica che è solo far carriera
Il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto
L’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto

e un dio che è morto
Nei campi di sterminio, dio è morto
Coi miti della razza, dio è morto
Con gli odi di partito, dio è morto

Ma penso
Che questa mia generazione è preparata
A un mondo nuovo e a una speranza appena nata
Ad un futuro che ha già in mano
A una rivolta senza armi
Perché noi tutti ormai sappiamo
Che se dio muore è per tre giorni e poi risorge
In ciò che noi crediamo, dio è risorto
In ciò che noi vogliamo, dio è risorto
Nel mondo che faremo, dio è risorto

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Voyager Golden Record: la playlist che viaggia nello spazio

A miliardi di chilometri di distanza dalla Terra una speciale playslist si sta dirigendo verso nuovi ascoltatori.  Se una civiltà aliena incontrasse i veicoli spaziali Voyager 1 o Voyager 2 troverebbe al loro interno il Voyager Golden Record, un disco contenente – tra altre cose – la musica di Bach, Mozart, Beethoven, il gamelan indonesiano, i canti Navajo, “Johnny B. Goode” e molto altro…

La storia del Voyager Golden Record inizia il 20 agosto e il 5 settembre 1977 quando da Cape Canaveral furono lanciate due sonde spaziali per fotografare da vicino i pianeti esterni del nostro sistema solare (Giove, Saturno, Urano e Nettuno) e destinate in seguito a uscire dalla zona d’influenza del Sole e continuare il loro viaggio, forse per sempre. Ad oggi sono i primi oggetti costruiti dall’uomo ad aver superato i confini del nostro sistema solare ed essere entrati nello spazio interstellare.

Un progetto degli Stati Uniti d’America capitanato da Carl Sagan (divulgatore scientifico, scrittore di fantascienza e tra i più famosi astronomi, astrofisici, astrobiologi ed astrochimici del Novecento) a cui la Nasa affidò l’incarico di ideare un messaggio da consegnare ad una ipotetica civiltà aliena. Una specie di biglietto da visita che potesse raccontare l’Umanità e la vita sulla Terra.

Carl Sagan progettò il “Voyager Golder Record” un disco in rame placcato oro del diametro di 30 centimetri. Su un lato del disco sono disegnate in forma schematica le indicazioni sul contenuto e le istruzioni per estrarne le informazioni, da leggersi con l’apposita puntina che si può trovare a bordo della sonda. Sulla superficie è stata anche incisa questa frase:

“To the makers of music – all worlds, all times”

Il disco contiene 115 immagini che mostrano le più significative esperienze di vita umane e descrivono il nostro Pianeta e il Sistema Solare, tra cui la spirale del DNA, disegni anatomici, la foto di una donna al supermercato, una mamma che allatta, una famiglia che mangia… le potete vedere al sito ufficiale della Nasa cliccando qui. La sezione audio contiene invece una collezione di suoni naturali, come il rumore del vento, dei tuoni o i versi di alcuni animali; i saluti in 55 lingue diverse (l’italiano parte al minuto 1 e 54 secondi e dice “tanti auguri e saluti”); un messaggio del presidente Carter e del segretario generale delle Nazioni Unite dell’epoca, Kurt Waldheim e poi… 90 minuti di musica.

Questo è un regalo di un piccolo e distante pianeta, un frammento dei nostri suoni, della nostra scienza, delle nostre immagini, della nostra musica, dei nostri pensieri e sentimenti. Stiamo cercando di sopravvivere ai nostri tempi, così da poter vivere fino ai vostri.

Jimmy Carter, Presidente degli Stati Uniti d’America

La selezione musicale è alquanto bizzarra e curiosa: contiene una ideale rappresentazione di tutte le musiche del mondo. Vi riporto la lista dei 27 brani:

  1. Bach – Primo movimento, Concerto brandeburghese n. 2 in Fa
  2. “Puspawarna” (“Tipi di fiori”), gamelan dell’isola di Giava
  3. Percussioni senegalesi
  4. Canzone dell’iniziazione delle donne pigmee
  5. “Morning Star” e “Devil Bird”, canzoni degli aborigeni australiani
  6. Lorenzo Barcelata e i Mariachi Messicani – “El Cascabel” 
  7. Chuck Berry – “Johnny B. Goode”
  8. Canzone della casa dell’uomo, canto della Nuova Guinera
  9. Goro Yamaguchi – “Tsuru No Sugomori” (Giappone)
  10. Bach – “Gavotte en rondeaux” dalla Partita n. 3 in Mi maggiore per violino
  11. Mozart – Aria della Regina della Notte, da “Il flauto magico”
  12. “Tchakrulo,” coro dalla Georgia
  13. Daniel Alomìa Robles – “Condor Pasa”
  14. Louis Armstrong and his Hot Seven – “Melancholy Blues”
  15. “Mugam”, cornamusa dall’Azerbaigian
  16. Stravinsky – Danza sacrificale da “La sagra della Primavera”
  17. Bach – Preludio e fuga n. 1 in Do maggiore da “Il clavicembalo ben temperato, libro II”
  18. Beethoven – Sinfonia n. 5, Primo movimento Allegro con brio
  19. Valya Balkanska – “Izlel je Delyo Hagdutin” (Bulgaria)
  20. Canto notturno degli Indiani Navajo
  21. Holborne – “The Fairie Round” da Pavans, Galliards, Almains and Other Short Airs
  22. Musica dalle Isole Salomone
  23. Canto matrimoniale dal Perù
  24. Bo Ya – Liu Shui (“Flowing Streams”), Cina
  25. “Jaat Kahan Ho”, raga indiano
  26. Blind Willie Johnson – “Dark was the night, cold was the ground”
  27. Beethoven – Cavatina dal Quartetto n. 13 op. 130 in Si bemolle

Delle scelte che inevitabilmente hanno fatto discutere, ad esempio non è presente nessun compositore italiano. I contenuti del Voyager Golder Record sono stati facilmente criticati per dare messaggi confusi: i 55 saluti ascoltati così uno dopo l’altro posso dare l’idea di qualcosa di ingarbugliato (per alcuni potrebbe quasi sembrare una lite tra diverse persone), come quelle 115 immagini più disparate unite ai suoni della natura e ai versi degli animali.

Ciò che stupisce è la grande e vasta presenza della musica. Immagino il fortunato alieno di una galassia lontanissima alle prese con questo strano aggeggio: di sicuro penserebbe che la musica (o quantomeno quei 90 minuti di armoniose frequenze) abbia una grande importanza per questa lontana civiltà. E infatti non è forse così? Tra l’altro hanno scelto di inviare il nostro messaggio proprio su un disco!

La navicella potrà essere trovata e la registrazione visualizzata solo se esistono civiltà avanzate che viaggiano nello spazio interstellare. Ma il lancio di questa bottiglia nell’oceano cosmico è un messaggio di grande speranza circa la vita su questo pianeta.

Carl Sagan

È un messaggio forte, che nel bene o nel male, fa riflettere. Anche se dobbiamo inevitabilmente mettere in conto che il nostro alieno potrebbe non riuscire a decifrare il messaggio, oppure potrebbe non possedere il senso dell’udito o le onde sonore potrebbero non espandersi nella sua atmosfera. E anche se riuscisse ad ascoltarci, che idea potrebbe farsi di tutta questa diversa vastità sonora, musicale?

Qui non si tratta di scegliere i 10 dischi preferiti da potare su un’isola deserta, voi che playlist avreste fatto per il Voyager Golden Record?

Qui il contenuto audio del “Voyager Golden Record”.
Al minuto 21:44 inizia la sezione musicale



In occasione del 40esimo anniversario del lancio è stata pubblicata un’edizione speciale del Voyager Golden Record in 3 vinili e un libro dove viene presentata la sua storia. Lo potete acquistare cliccando qui.

Sul sito ufficiale della Nasa https://voyager.jpl.nasa.gov/ potete trovare tutte le informazioni sul viaggio delle due sonde spaziali Voyager, la descrizione dettagliata dei contenuti del Voyager Golden Record e la storia della sua realizzazione.

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Pitagora: la musica, la matematica e l’Armonia delle Sfere

Pitagora lo conosciamo tutti. È uno di quei personaggi importanti che si studiano a scuola e per un motivo o per l’altro non si scordano più. È stato un pensatore, matematico, filosofo vissuto nel VI secolo a. C., nato a Samo venne in Italia e fondò la sua scuola a Crotone. Lo ricordiamo soprattutto per il suo famosissimo teorema, rispolveriamo la memoria: in ogni triangolo rettangolo l’area del quadrato costruito sull’ipotenusa è uguale alla somma delle aree dei quadrati costruiti sui cateti.

Quello che forse viene poco raccontato è quanto le scoperte di Pitagora siano state fondamentali anche in campo musicale. La filosofia pitagorica concepì la musica come elemento che, assieme alla matematica, coinvolge tutto l’Universo. Il concetto di Musica come scienza della ragione e come qualcosa di immutabile è una scoperta da cui prenderà vita, nei secoli successivi, quella che chiamiamo la civiltà musicale occidentale.

Narra la leggenda che tutto cominciò circa 2.500 anni fa nella bottega di un fabbro. Si racconta che Pitagora, durante le sue passeggiate, vi passasse spesso accanto; un giorno prestò particolare attenzione ai diversi suoni squillanti prodotti dai martelli sulle incudini e si domandò come mai alcuni fossero così piacevoli, armoniosi, se accostati tra di loro. Entrò e capì che responsabili dei diversi suoni prodotti erano i diversi pesi dei martelli.

immagine da: Gaffurio “Theorica Musicae” 1492

Pitagora ripeté l’esperimento su un monocordo, strumento composto da una sola corda tesa sopra una cassa di risonanza. Pizzicando la corda si ottiene un determinato suono, Pitagora scoprì che dimezzando corda e pizzicandone la parte dimezzata si ottiene un altro suono che ben si lega con il primo: è lo stesso suono, ma di un’altezza diversa. Pitagora ha scoperto così che con un rapporto di numeri, in questo caso 2:1, si può descrivere un rapporto armonico musicale che oggi chiamiamo intervallo di ottava (è la distanza, ad esempio, tra un Do e il Do successivo).

Pitagora è andato oltre: ha diviso la corda in 3 parti e ha scoperto un altro suono armonico molto importante, l’intervallo di quinta, che è in rapporto di 3:2 (es. distanza tra Do e Sol). Dividendo ancora la corda 4 parti e pizzicandola in un rapporto di 4:3 otteniamo un intervallo di quarta (ad esempio tra Do e Fa)

Utopia Razionale: Pitagora e Mondrian, conferenza tenuta all ...

Pitagora quindi scoprì che i primi quattro numeri interi (1, 2, 3, 4) creano tra di loro rapporti fondamentali e interessanti, trovò le forme universali della consonanza: 2:1 (ottava); 3:2 (quinta); 4:3 (quarta). Oggi sappiamo che questi rapporti tra le note corrispondono alle frequenze, a quell’epoca non si poteva sapere.  Pitagora scoprì i suoni della scala diatonica e molti degli intervalli che ancora oggi governano le regole dell’acustica musicale occidentale.

Inoltre, se sommiamo proprio questi primi quattro numeri (1 + 2 + 3 + 4) otteniamo come risultato 10, il numero “magico” dei Pitagorici che si può rendere graficamente con un oggetto matematico chiamato Tetraktys.

Un oggetto incredibilmente semplice e altrettanto incredibile, venerato dai Pitagorici. Perfetta ed esemplare riduzione del numerico allo spaziale e dell’aritmetico al geometrico. La Tetraktys simboleggiava la perfezione del numero e degli elementi che lo comprendono, era il paradigma numerico della totalità dell’Universo.


L’armonia delle sfere

Profondamente colpito da questo legame tra musica e numeri, Pitagora trasse la conclusione che “il numero è sostanza di tutte le cose” e che quindi tutto fosse misurabile e si potesse descrivere in maniera razionale con numeri interi.

Si poteva così spiegare il moto degli astri, il succedersi delle stagioni, i cicli delle vegetazioni e le armonie musicali. La grande importanza dei Pitagorici è che per primi hanno ricondotto la natura all’ordine misurabile e hanno riconosciuto in quest’ordine ciò che dà al mondo la sua unità, la sua armonia e quindi anche la sua bellezza.

I Pitagorici, scrive Aristotele, vedendo che molte delle proprietà dei numeri appartengono ai corpi sensibili, stabilirono che gli esseri sono numeri, non numeri separati, ma quelli di cui consistono. E perché? Perché le proprietà che appartengono ai numeri risiedono nell’armonia, nel cielo e in molte altre cose.

(Met., XIV, 3, 1090 a 21 sgg.)

Pitagora e i suoi seguaci teorizzarono l’idea di un Universo governato da proporzioni numeriche armoniose che determinavano il movimento dei corpi celesti e le distanze tra i pianeti corrispondevano ai rapporti numerici degli intervalli musicali.

La rotazione dei pianeti nello spazio venne associata ad una sinfonia musicale chiamata “Armonia delle Sfere”: una musica celestiale, bellissima, che le nostre orecchie non riescono più a percepire perché da sempre abituate a sentirla. Un po’ come quando si sta a lungo accanto ad un fiume e ci si abitua al fragore delle acque.

Tutto quanto si svolge nel cielo e sulla terra è sottomesso a leggi musicali.

Cassiodoro (VI sec.)

Di origine pitagorica sono anche le tradizionali associazioni delle sfere planetarie alle sette corde della lira e dei sette pianeti ai sette suoni formati da due tetracordi (due scale composte da 4 suoni) che si uniscono tra loro e coincidono in una nota comune, in origine la corda centrale sulla quale si regolava l’accordatura. A questa nota centrale i pitagorici identificarono Apollo, il dio dell’armonia cosmica, e il Sole al quale, data la sua posizione mediana nell’ordine che si dava all’epoca alle sfere celesti, si attribuiva un’azione di vincolo e di coesione tra i restanti pianeti.

Le proporzioni dell’universo armonicamente riferite al monocordo in un’opera di Robert Fludd (1574-1637)

La rappresentazione pitagorica dell’universo come armonia ebbe molto successo nell’antichità, ne parlarono Platone, Aristotele, Claudio Tolomeo, Cicerone. Fino ad arrivare a Boezio (sec. V-VI d.C.) e alla sua famosa tripartizione della musica:
musica mundana (armonia delle sfere, macrocosmo);
musica humana (armonia interiore, musica dell’anima, microcosmo);
musica instrumentalis (musica strumentale, nel senso che noi comprendiamo oggi). 

A Boezio si deve anche la codificazione delle Arti Liberali che nel Medioevo costituivano i due gradi dell’insegnamento, l’uno letterario (Trivium) e l’altro scientifico (Quadrivium), e ovviamente la Musica era tra le materie fondamentali della sfera scientifica:
Trivium: grammatica, retorica, dialettica;
Quadrivium: aritmetica, geometria, musica, astronomia.

Anche Dante ne parlò esplicitamente in diversi punti della “Divina Commedia” e nel “Convivio” dove, ribadita l’intima corrispondenza tra i primi sette cieli e le dottrine del Trivium e del Quadrivium, alla Musica è assegnato il cielo di Marte. Per il Sommo Poeta è la relazione più bella dei cieli: essendo complessivamente nove, alla Musica è assegnato il quinto posto, quello più importante e centrale.

E queste due propietadi sono nella Musica: la quale è tutta relativa, sì come si vede nelle parole armonizzate e nelli canti, de’ quali tanto più dolce armonia resulta quanto più la relazione è bella: la quale in essa scienza massimamente è bella, perché massimamente in essa s’intende. Ancora: la Musica trae a sé li spiriti umani, che quasi sono principalmente vapori del cuore, sì che quasi cessano da ogni operazione: sì e l’anima intera, quando l’ode, e la virtù di tutti quasi corre allo spirito sensibile che riceve lo suono.

Dante, Convivio (tratt. 2.13)

Dante Alighieri e Beatrice contemplano l’Empireo
(illustrazione di Gustave Doré)
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Perché ascoltare musica ci fa stare bene?

Si può analizzare scientificamente e oggettivamente un suono, possiamo con certezza parlare della sua altezza, del timbro, della durata. Si può analizzare armonicamente una melodia sezionandola nota dopo nota, ma non si riesce mai pienamente a valutare quale impatto determinerà nell’ascoltatore.

«Visto con il freddo occhio del fisico, un evento musicale è solo una raccolta di suoni di varia altezza, durata, e altre qualità misurabili. In qualche modo, la mente umana attribuisce a questi suoni un significato. Essi diventano simboli per qualcos’altro che va al di là del puro suono, qualcosa che induce a piangere o a ridere, che piace o dispiace, che commuove o lascia indifferenti.» John Sloboda (musicologo e rappresentante della Psicologia Cognitivista)

La maggior parte di noi ascolta musica o suona uno strumento perché la musica è capace di suscitare emozioni: può rallegrare, annoiare, consolare oppure essere un sollievo e una via di fuga dalla noia e dalla monotonia. Se un alieno di una lontana civiltà ci chiedesse perché dedichiamo tanto tempo e interesse all’ascolto della musica la risposta sarebbe: perché la musica ha la capacità di elevare il livello della nostra vita emotiva.

Accantonando l’importanza sociologica che può avere la Musica intesa come collante di identità culturali e focalizzando l’attenzione sulle implicazioni psicologiche, si scopre che il potere terapeutico delle note è attestato da innumerevoli studi. La musica è in grado di modulare l’umore di una persona in diverse modalità: influisce sia nei più semplici contesti quotidiani donando momenti di svago, evasione, compagnia, ma in una prospettiva più ampia ha anche il potere di promuovere il benessere fisico e psicologico.

I benefici della musica sono tantissimi: aiuta contro i disturbi dell’umore, il disagio psichico, la depressione, deficit di lettura e di apprendimento, l’autismo, la demenza e le malattie neurodegenerative. L’esercizio muscolare legato all’uso di uno strumento è un’ottima e piacevole terapia riabilitativa per i pazienti che hanno subito lesioni motorie. La musica stimola la consapevolezza interiore, accresce il nostro benessere e migliora il nostro umore; influisce sul battito cardiaco, la pressione sanguigna, la respirazione, il livello di alcuni ormoni, in particolare quello dello stress, e le endorfine.

Un approfondito articolo del Centro di Psicologia Clinica conferma che anche il sistema immunitario risente dell’effetto della Musica. I fattori che più colpiscono il nostro sistema difensivo dall’attacco di patogeni e di agenti estranei sono lo stress e l’invecchiamento. È stato visto come la musica possa giocare un ruolo fondamentale nell’attenuare il naturale decorso della vita che porta ad indebolire le proprie difese.

«La presenza della musica in tutti gli ambiti della vita dà un’idea della sua importanza e della sua capacità di estendersi a qualsiasi circostanza apportando effetti positivi».



Per approfondimenti:
– John A. Sloboda, “La mente musicale”, Urbino, Il Mulino, 2004.
– articolo “La musica come generatore di emozioni e di processi cognitivi” del Centro di Psicologia Clinica. Leggi l’articolo cliccando qui.

(foto di copertina: Rita Hayworth)

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Gli Dei sono canti / il Silmarillion

Gli Dei sono canti. È il titolo del primo capitolo del libro di Marius Schneider “La musica primitiva” di cui vi ho parlato in questo articolo. Schneider, studioso di musica e mitologia, ha dedicato un’intera vita nel tentativo di ricomporre l’antichissima concezione del cosmo fondata sul suono attraverso una meticolosa analisi dei miti di origine delle più svariate tradizioni, visti innanzitutto come “potenze sonore”. Schneider ha osservato come tutte le volte che la genesi del mondo è descritta con sufficiente precisione, un elemento acustico interviene nel momento decisivo dell’azione”.

E non poteva anche essere così anche nel mondo Fantasy creato dalla fantasia dello scrittore J.R.R. Tolkien. L’universo tolkieniano racconta storie di popoli con una loro mitologia, una letteratura e vere lingue inventate. I suoi libri, epici e fiabeschi, sono diventati dei fenomeni letterari e di costume di notevole portata ed hanno contribuito all’affermarsi del moderno immaginario Fantasy.

Quando si parla di J.R.R. Tolkien il pensiero non può che andare a “Il Signore degli Anelli”, “Lo Hobbit” e Il Silmarillion. Quest’ultimo, pubblicato quattro anni dopo la morte di Tolkien, racconta la creazione del mondo in cui si svolgeranno le vicende contenute negli altri libri, è una sorta di “bibbia” del mondo Fantasy. La cosmogonia creata da Tolkien si ispira, più o meno consapevolmente, a reali religioni e tradizioni e la musica non poteva che avere un ruolo centrale e fondamentale.

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Il Silmarillion inizia raccontando la creazione di Eä (il “Mondo che È”) ad opera di Eru, l’Uno. Eru per prima cosa creò dal suo pensiero gli Ainur, entità angeliche che attraverso il suono e il canto crebbero in consapevolezza e in armonia. Il progetto di Eru era quello di creare attraverso la Grande Musica un mondo in Armonia, ma Melkor, il più potente degli Ainur, si slegò dalla melodia col fine di accrescere il suo potere e il suo ego dando così origine al Male.

Non poteva esserci creazione più musicalmente epica e affascinante di questa.
Vi lascio i primi paragrafi, buona lettura!

Esisteva Eru, l’Uno, che in Arda è chiamato Ilùvatar; ed egli creò per primi gli Ainur, i Santi, rampolli del suo pensiero, ed essi erano con lui prima che ogni altro fosse creato.
Ed egli parlò loro, proponendo temi musicali; ed essi cantarono al suo cospetto, ed egli ne fu lieto. A lungo cantarono soltanto uno alla volta, o solo pochi insieme, mentre gli altri stavano ad ascoltare; ché ciascuno di essi penetrava soltanto quella parte della mente di Ilùvatar da cui proveniva, e crescevano lentamente nella comprensione dei loro fratelli.

Ma già solo ascoltando pervenivano a una comprensione più profonda, e s’accrescevano l’unisono e l’armonia. E accadde che Ilùvatar convocò tutti gli Ainur ed espose loro un possente tema, svelando cose più grandi e più magnifiche di quante ne avesse fino a quel momento rivelate; e la gloria dell’inizio e lo splendore della conclusione lasciarono stupiti gli Ainur, sì che si inchinarono davanti a Ilùvatar e stettero in silenzio.

Allora Ilùvatar disse: «Del tema che vi ho esposto, io voglio che voi adesso facciate, in congiunta armonia, una Grande Musica. E poiché vi ho accesi della Fiamma Imperitura, voi esibirete i vostri poteri nell’adornare il tema stesso, ciascuno con i propri pensieri e artifici, dove lo desideri. Io invece siederò in ascolto, contento del fatto che tramite vostro una grande bellezza sia ridesta in canto».

Allora la voce degli Ainur, quasi con arpe e liuti, e flauti e trombe, e viole e organi, quasi con innumerevoli cori che cantassero con parole, prese a plasmare il tema di Ilùvatar in una grande musica; e si levò un suono di melodie infinitamente avvicendantisi, conteste in armonia, che trascendevano l’udibile in profondità e altezza, e i luoghi della dimora di Ilùvatar ne erano riempiti a traboccarne, e la musica e l’eco della musica si spandevano nel Vuoto, ed esso non era vacuo.

Mai prima gli Ainur avevano prodotto una musica simile, benché sia stato detto che una ancora più grande sarà fatta al cospetto di Ilùvatar dai cori degli Ainur e dei Figli di Ilùvatar dopo la fine dei giorni. Allora i temi di Ilúvatar saranno eseguiti alla perfezione, assumendo Essere nel momento stesso in cui saranno emessi, ché tutti allora avranno compreso appieno quale sia il suo intento nella singola parte, e ciascuno conoscerà la comprensione di ognuno, e Ilúvatar conferirà ai loro pensieri il fuoco segreto, poiché sarà assai compiaciuto.

Ora però Ilúvatar sedeva ad ascoltare, e a lungo gli parve che andasse bene, perché nella musica non erano pecche. Ma, col progredire del tema, nel cuore di Melkor sorse l’idea di inserire trovate frutto della propria immaginazione, che non erano in accordo con il tema di Ilúvatar, ed egli con ciò intendeva accrescere la potenza e la gloria della parte assegnatagli.

A Melkor tra gli Ainur erano state concesse le massime doti di potenza e conoscenza, ed egli partecipava di tutti i doni dei suoi fratelli. Spesso se n’era andato da solo nei luoghi vuoti alla ricerca della Fiamma Imperitura, poiché grande era in lui il desiderio di porre in Essere cose sue proprie, e gli sembrava che Ilúvatar non tenesse da conto il Vuoto, e la vacuità di questo gli riusciva intollerabile.

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Gli Dei sono canti: il suono creatore del mondo

Come raccontavo in un precedente articolo, al mondo non esistono culture senza Musica, anzi: è agli albori, nelle culture primitive che ritroviamo l’essenza del suo valore sul piano della sopravvivenza. Le canzoni, i discorsi e le poesie organizzate ritmicamente sono il mezzo di trasmissione più importante delle culture non alfabetizzate. Grazie alla Musica le persone possono esprimersi ed esprimere le loro conoscenze, tessere relazioni sociali.

Musica e Universo sono concetti legati tra loro sin dai tempi primitivi: prima di essere figure e volti, gli Dei furono ritmo e melodia. Marius Schneider, musicologo e mitologo, ha dedicato un’intera vita nel tentativo di ricomporre l’antichissima concezione del cosmo fondata sul suono attraverso una meticolosa analisi dei miti delle più svariate tradizioni, visti innanzitutto come “potenze sonore”. Ne ritrovò le tracce ovunque: in Cina, in Australia, nell’Asia Centrale, in Africa e persino nei capitelli romantici. Questi studi oggi sono raccolti nel libro “La musica primitiva”.

Tutte le volte che la genesi del mondo è descritta con sufficiente precisione, un elemento acustico interviene nel momento decisivo dell’azione. Nell’istante in cui un dio manifesta la volontà di dare vita a se stesso o ad un altro dio, di far apparire il cielo e la terra oppure l’uomo, egli emette un suono. Espira, sospira, parla, canta, grida, urla, tossisce, espettora, singhiozza, vomita, tuona, oppure suona uno strumento musicale. In altri casi egli si serve di un oggetto materiale che simboleggia la voce creatrice. La fonte dalla quale emana il mondo è sempre una fonte acustica”.

Il suono viene quindi inteso come creatore del mondo: nato dal Vuoto, è il frutto di un pensiero che fa vibrare il Nulla e, propagandosi, crea lo spazio. È la prima forza creatrice che in molte mitologie viene personificata da Dei cantori.

La voce creatrice più popolare è forse quella del tuono, ad esempio per i Cheyenne americani Manitù dà origine al mondo per mezzo della voce del tuono e nella Cina antica il tuono segnava l’inizio della vita cosmica. Mentre in Egitto il dio Thot creò il mondo battendo le mani e scoppiando a ridere sette volte, secondo le Upanishad invece il mondo fu generato dalla sillaba “om” che costituisce l’essenza del saman (canto) e del soffio. Anche secondo la religione cristiana Dio durante la Creazione usò il suono della sua voce (nella Genesi: «e Dio disse…»).

Tutto ciò che gli Dei fanno,
lo fanno tramite la recitazione cantata.

Śatapatha Brāhmana

Gli esempi di cui parla Schneider sono tantissimi, questa è solo una breve introduzione. “La musica primitiva” è un libro affascinante, amplia all’infinito la concezione di quello che può essere la Musica. Secondo le religioni il suono è la forza creatrice, che sia un dio o una sillaba o un rumore, in esso è racchiusa la nascita dell’universo e dell’uomo stesso, in esso quindi vi è la sorgente della Vita. Se l’uomo è nato dal suono, la sua essenza sarà sempre sonora: la voce è l’uomo e il canto ne è l’anima, o il veicolo dell’anima. Per questo, ad esempio, il Rg Veda designa il musicista come uno svabhanu, ovvero come un uomo che ha la luce dentro di sé. Di tutti i mortali, il musicista dal canto luminoso è colui che più somiglia agli Dei.

musica

Vedere l’armonia: il suono si fa forma

“La Musica è un esercizio aritmetico della mente che conta senza sapere di contare” (Musica est exercitium arithmeticae occultum nescientis se numerare animi) scriveva Leibniz, rifacendosi alle teorie pitagoriche secondo cui il segreto dell’armonia risiede nel potere magico dei numeri.

Ascoltare una bella melodia e pensare che risponda a specifici rapporti matematici è qualcosa di molto astratto, soprattutto per chi non è un musicista. Studiando la teoria musicale si scopre come tutto segua delle regole precise. Nel Medioevo, ad esempio, la Musica (“ars musica”) veniva insegnata nel Quadrivio insieme alle discipline attribuite alla sfera matematica (aritmetica, geometria, astronomia).

La Musica può essere descritta in senso formale come una serie di eventi sonori disposti nel tempo: ogni nota ha una sua funzione perché inserita all’interno di un sistema di relazioni spiegato dalla scienza dell’armonia. Ad esempio, nel sistema musicale occidentale possiamo pensare alla scala di Do maggiore, costituita da 7 suoni diversi per numero di vibrazioni (la frequenza) ai quali per convenzione diamo i nomi di: Do, Re, Mi, Fa, Sol, La Si.

Come gradini di una scala, questi 7 suoni sono distanti tra loro e la distanza tra un suono e l’altro viene chiamata “intervallo” che quindi rappresenta la differenza di altezza tra due note.

Tornando alla nostra scala di Do maggiore: Do, Re, Mi, Fa, Sol, La Si e poi nuovamente Do (se vogliamo proseguire e salire sempre di più) il secondo Do è un suono diverso dal primo, è più acuto. Porta sempre il nome di Do perché ha una somiglianza speciale con il primo: ha un numero doppio di vibrazioni per secondo (stanno in rapporto di 2:1) e si dice per convenzione che è all’ottava superiore del primo (in quanto è l’ottavo suono dopo il Do iniziale). Tra Do e Re c’è un intervallo di seconda, tra Do e Mi di terza, tra Do e Fa di quarta e via dicendo.

La distanza tra due note quindi è definita da un ben determinato rapporto numerico: il rapporto delle frequenze di quelle due note. Il discorso è molto complicato da spiegare brevemente, ma spero questo accenno possa far intuire come i suoni delle scale musicali siano collegati tra loro da precisi rapporti matematici.

I rapporti tra le note creano armonia non solo all’udito, ma anche nella forma ed esiste un modo per vedere queste misteriose frequenze e il rapporto magico che creano tra di loro.
Guardate com’è il rapporto di ottava, la distanza tra i due Do di cui parlavamo prima.

Ricorda il numero otto e anche il simbolo dell’infinito. Questa scoperta si deve al matematico francese Jules Lissajous, che a metà del XIX secolo scoprì come proiettare una vibrazione sonora su uno schermo. L’esperimento consiste nel proiettare un raggio luminoso tra le forcelle di un diapason (uno strumento musicale di metallo a forma di U che vibrando produce suoni di un’altezza perfettamente determinata); con un gioco di specchi, il raggio riflette la vibrazione su uno schermo producendo un’onda sinusoidale.

Aggiungendo un altro diapason e sommando due diverse vibrazioni Lissajous scoprì che producevano forme bellissime, oggi conosciute come “figure di Lissajous”, possono essere considerate come l’espressione geometrica dell’armonia musicale.

Erano le prime immagini dell’armonia. Dopo tanta teoria Lissajous ha dimostrato come l’unione di due particolari note in “armonia” tra loro crea non solo suoni armonici, ma anche forme armoniche.

La musica deriva da principi matematici capaci di creare complessità, armonia, varietà e bellezza.

A questo link viene riproposto l’esperimento di Lissajous con i due diapason e il gioco di specchi, proprio come doveva averlo ideato lo scienziato francese.

Mentre grazie alla tecnologia oggi possiamo osservare queste particolari onde con immagini più chiare e dirette:


Infine, una vera magia.