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Meat loaf, Steinman e un motociclista alla ricerca del Graal

La musica è sempre stata un laboratorio affascinante nel quale personalità diverse, talvolta addirittura opposte, si incontrano e scontrano, a volte generando disastri e a volte dando vita a capolavori senza tempo. Non c’è una regola, è necessaria un’alchimia speciale, un insieme di coincidenze date da fattori diversi, sfuggenti e misteriosi.

Questa storia comincia con Jim Steinman, un giovane compositore e pianista, un personaggio particolare con uno stile e una personalità fuori dagli schemi. Dopo aver realizzato alcuni musical, a metà degli anni ’70 è impegnato nell’ideazione e composizione della sua nuova opera dal titolo “Neverland”, un musical incentrato su una sorta di versione fantascientifica e futuristica di Peter Pan. Sono state composte solo alcune bozze quando entra in scena il secondo tassello del mosaico, impersonato dalla classe, dal carisma, dalla teatralità di Marvin Lee Aday, in arte Meat Loaf, cantante e attore con all’attivo ruoli in alcuni musical.

Meat Loaf e Jim Steinman nel 1977

Le interpretazioni di Meat Loaf fanno scattare una molla a Steinman, che stravolge l’intero progetto abbandonando le intenzioni originarie in favore della realizzazione di un vero e proprio Rock album, dal titolo “Bat out of Hell”. Nonostante la qualità dei brani, i due passeranno un lungo ed estenuante periodo alla ricerca di una casa discografica che accettasse di produrlo, e, solo tramite un sotterfugio, riuscirono a convincere il terzo elemento del team, il chitarrista Todd Roundgren, a produrre il disco.

L’album uscì nell’ottobre del 1977. Non fu un successo immediato. Le sonorità epiche e barocche del disco richiesero del tempo per essere assimilate dall’ascoltatore Pop e Rock a stelle e strisce. La popolarità dell’album è rimasta inalterata nel corso del tempo, divenendo un classico e, secondo alcune fonti, uno dei dieci album più venduti nella storia della musica con oltre 40 milioni di copie vendute.

Una sorta di Opera Rock, un genere in voga all’epoca, come nel caso di “Jesus Christ Superstar”, “Tommy” degli Who, o il musical “Hair” (nella quale aveva recitato lo stesso Meat Loaf a fine anni ’60 nella produzione di Los Angeles).

Il brano più rappresentativo, simbolo dell’album e autentico apice della produzione di Meat Loaf è la lunga titletrack (Bat out of Hell”) posta in apertura del disco, una storia epica che traspone la figura del cavaliere errante della letteratura cavalleresca medievale in un motociclista metallaro che sfreccia nella notte in sella al suo destriero, la sua “silver-black phantom bike”.

L’overture iniziale ci catapulta nel pieno dell’azione: la corsa fiammante di una motocicletta che sfreccia nelle highways americane tra pattern di piano indiavolati e potenti stacchi ritmici, sfocia in un melodico splendido solo di chitarra di Todd Rundgren per poi spegnersi un attimo di respiro. L’eroe contempla la valle innanzi a lui. Con un sottofondo di piano la teatrale voce di Meat Loaf porta in scena figure misteriose e una sensazione di pericolo imminente:

“The sirens are screaming, and the fires are howling
Way down in the valley tonight
There’s a man in the shadows with a gun in his eye
And a blade shining oh so bright
There’s evil in the air and there’s thunder in the sky,
And a killer’s on the bloodshot streets”

La penna di Jim Steinman disegna figure tipiche dell’immaginario americano tutto film d’azione, fumetti e popcorn. Il mito dell’eroe che da cavaliere medievale alla ricerca del Graal diventa il ribelle della società e, in sella alla sua moto, respinge un mondo fatto di convenzioni e facciate. Il fulcro centrale rimane lei, la ragazza amata, in grado di portare la luce laddove vi era solo oscurità:

“Oh, baby you’re the only thing in this whole world
That’s pure and good and right
And wherever you are and wherever you go
There’s always gonna be some light”

A ribadire il passaggio dalle oscure minacce al luminoso pensiero dell’amata, un coro di voci femminili dona sacralità e solennità al crescendo musicale, segno che ogni passaggio musicale è strettamente collegato allo svolgersi dell’azione. Con uno stacco elettrico il tormento del protagonista trasforma le figure minacciose della notte in demoni interiori, una sensazione di vuoto… dove “nothing really rocks, and nothing really rolls“. Un vuoto che solo lei che rappresenta ogni luce e purezza può scacciare, ma solo la notte.

La libertà anelata dal protagonista è anche libertà dalle catene di un amore ordinario e quotidiano. Steinman, amante del buio e della notte tanto che pare che componesse soltanto nelle ore notturne, ribadisce l’importanza che al sorgere del sole ognuno prenderà la propria strada. Esattamente “like a bat out of hell I’ll be gone when the morning comes“, il protagonista vive la notte quasi come un antico vampiro imprigionato in un mondo moderno, ritirandosi dalla luce del giorno, ma pronto a tornare al calare del sole:

“But when the day is done
And the sun goes down
And the moonlight’s shining through
Then like a sinner before the gates of Heaven
I’ll come crawling on back to you”

Sembra la conclusione del brano, ma il rombo di un motore squarcia come un tuono il silenzio della strada. La chitarra di Rundgren imita alla perfezione il ruggito della moto per poi lanciarsi un solo urlato e melodico mentre un piano indiavolato arricchisce lo sfondo con i suoi barocchismi.
Torna il protagonista, in sella al suo destriero che, come un fulmine, sfreccia in strada. I pensieri volgono sempre a lei, e questa distrazione gli sarà fatale.

“And no one’s gonna stop me now, I’m gonna make my escape
But I can’t stop thinking of you,
And I never see the sudden curve until it’s way too late”

Ancora una volta Steinman dirige la musica come fosse un film: ogni sezione strumentale corrisponde a quello che succede nella storia in un trionfo epico e wagneriano. L’esplosione di chitarra e batteria imita lo schianto della moto.

“And the last thing I see is my heart
Still beating still beating
Breaking out of my body
and flying away
Like a bat out of hell”

Il basso imita il pulsare del cuore del protagonista, ormai pronto a volare “like a bat out of hell I’ll be gone when the morning come“. La musica è prepotente fino al gran finale con l’ennesimo urlo di Meatloaf: “Like a bat out of hell“.

Un brano epico, eroico, travestito da teen movie nel quale ogni frammento contribuisce ad arricchire il quadro generale ascolto dopo ascolto. Ogni volta c’è un nuovo dettaglio, un nuovo colore che emerge dalle strade infuocate di quell’America arida e polverosa. E non rimane altro da fare che schiacciare ancora una volta il tasto play per vedere sbucare dalle fiamme il nostro cavaliere in sella alla sua Harley diretto a tutto gas “like a bat out of hell” da lei “the only thing in this whole world that’s pure and good and right“.

Meat Loaf – “Bat Out of Hell”

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Se la musica “Non mi basta più” ci pensa l’influencer

«Money, it’s a gas», i soldi ti gasano, cantavano i Pink Floyd e sappiamo bene che musica e denaro non sono due mondi separati. Dal nostro passato quando i musicisti erano pagati per comporre opere che compiacessero ai nobili committenti, alla recente industria culturale che secondo il filosofo, sociologo e musicologo Theodor Adorno ha avvilito l’arte, l’ha resa un bene di consumo distorcendone il significato.

L’avvento della musica liquida prima e dello streaming oggi ha fatto vacillare pesantemente il mercato: la musica non muove più i soldi di un tempo. E molti degli stratagemmi per uscire dalla crisi sono legati ad attività di marketing, su cui la discografia investe 1,7 milioni di dollari l’anno [fonte: “La music economy” de Il Sole 24 Ore, luglio 2019]. La Universal Music Italia ha addirittura creato la “Universal Music Group and Brands” che si occupa esclusivamente di gestire il branding dei suoi artisti.

Ecco che i musicisti diventano testimonial di altri brand, con una massiccia presenza di product placement nei videoclip, foto e canali social, con l’endorsement e tanto altro.

Non è una novità di questi ultimi anni: si può pensare ad esempio a Michael Jackson che aveva legato il suo nome alla Pepsi Cola (matrimonio finito non bene); Tupac e Versace, il mondo del rap in generale è molto attivo in questo campo; la Ricordi che nel 1959 scriveva ai birrai italiani per promuovere il singolo “Birra” di Gaber e Jannacci; al tormentone estivo 2018 “Italiana” di Fedex e J-Ax in partnership con il Cornetto Algida.

Di tormentone in tormentone arriviamo all’estate 2020 con un capolavoro di marketing che coinvolge un brand (Pantene), una cantante (Baby K) e, per la prima volta, un’influencer (Chiara Ferragni). Non si tratta solo di product placement e di co-brading, ma di un’operazione commerciale studiata nel dettaglio, inedita e potenzialmente rivoluzionaria sul piano comunicativo e promozionale.

Chiara Ferragni, regina delle influencer e imprenditrice digitale per antonomasia, è da anni testimonial del brand Pantene che per il lancio della nuova campagna pubblicitaria estiva ha progettato a tavolino un piano d’azione pazzesco.

Lo spot pubblicitario della Pantene è stato girato non solo con la Ferragni, ma ha visto la partecipazione anche della cantante Baby K, a cui è stata commissionata la canzone utilizzata come sottofondo. “Non mi basta più”, pubblicata dalla Sony Music Italia, è nata per vincere, (come sfacciatamente dichiarato nell’intro del brano: “Chiara, è arrivato il momento / Attiviamo il piano? / Confermato, ci aspettano / Operazione avviata, vai con la hit”) destinata a diventare il tormentone dell’estate 2020 e il brand Pantene è stato inserito addirittura all’interno del testo nel verso: “Ti ho in testa come Pantene”.

Baby K – Non mi basta più (special guest Chiara Ferragni)


Ma non basta. Baby K ha ricambiato il favore a Chiara Ferragni e la bionda influencer ha così debuttato anche come “cantante” facendo una comparsata all’interno del brano recitando (più che cantando) qualche verso, come l’ormai iconico: “Questo è il pezzo mio preferito!” progettato per diventare un meme virale, e ovviamente così è stato. Quando si tratta di marketing e business la Ferragni sa il fatto suo: è capace di catalizzare l’attenzione mediatica e come in questo caso trasformare una pubblicità in un fenomeno di costume.

E ancora: nel videoclip della canzone non poteva mancare il product placement a Pantene che è stato piazzato subito, all’inizio, quando l’inquadratura stringe in primo piano sul trolley trasparente di Baby K pieno di creme e shampoo.

Con un attento studio delle mode attuali, nei canali social delle due biondissime testimonial è stata lanciata anche una challenge digitale con gli hashtag #IndossaITuoiCapelli e #EstatePantene accompagnata da un balletto co-creato da Chiara Ferragni e Baby K con invito a replicarlo, proprio come è di moda fare su TikTok.

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Una campagna pubblicitaria realizzata con una pianificazione capillare che coinvolge tutti i mezzi: dallo spot televisivo e radiofonico, alla carta stampata, campagne display, alla massiccia presenza digital che ha generato contaminazioni artistiche e creative.

Un’enorme operazione di branding con tante sfumature diverse. E intanto in questo articolo ho citato molte volte Pantene, Chiara Ferragni, Baby K, ma in realtà non ho mai parlato di musica. Eppure, hanno lanciato il tormentone dell’estate! La musica ormai “non basta più”?

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Un raggio di sole per Madonna

“Ray of Light” (1998) è il disco della maturità che ha salvato Madonna, la Regina del Pop. Dopo il danno d’immagine di “Erotica” e del libro “Sex”, gli scandali e le scomuniche del Vaticano ecco la redenzione. Dopo una vita da “material girl” piena di vuoto e superficialità, è anche grazie alla nascita della figlia, Louise Veronica Ciccone, che avviene il cambiamento, annunciato fin dalla canzone d’apertura del disco “Drowned World/Substitute for Love” che inizia col verso: “I traded fame for love” (Ho scambiato la fama per amore).

Un riscatto verso una visione più profonda e spirituale dell’esistenza, come un raggio di sole. “Ray of light” non è solo il titolo dell’album, ma è anche una delle canzoni più iconiche che Madonna abbia mai pubblicato. Cinque minuti di techno- dance-pop di fine anni ’90 che si mescola in atmosfere calme e ipnotiche. Anche se è uno dei pochissimi pezzi non concepiti fin dall’inizio da un’idea di Madonna.

“Ray of Light” trae ispirazione da un brano titolato “Sepheryn” scritto da Clive Muldoon e Dave Curtis nel 1971. Una prima versione fu realizzata dal produttore William Orbit insieme alla cantante Christine Leach, a cui venne dato il titolo di “Zephyr In The Sky”. In questa versione germinale e con questo titolo provvisorio venne fatta ascoltare insieme ad altre demo a Madonna.

Clive Muldoon e Dave Curtis – “Sepheryn” (1971)


Lady Ciccone decise di lavorarci insieme al suo produttore William Orbit e cambiò parte del testo inserendo una nuova strofa: “Faster than the speeding light she’s flying / Trying to remember where it all began / Shes got herself a little piece of Heaven / Waiting for the time when Earth shall be as one” (Più veloce della luce, sta volando / cercando di ricordare dove tutto ebbe inizio / Si è procurata un piccolo pezzo di Paradiso / aspettando che arrivi il momento in cui la Terra si unirà al suo paradiso). Nasce così il successo di “Ray of Light”.

Una canzone che parla di libertà, con uno sguardo mistico all’Universo e a quanto piccolo sia l’essere umano rispetto alla sua infinita vastità. Tutto l’album “Ray of Light” presenta riferimenti mistici dovuti all’avvicinamento di Madonna alla Cabala ebraica, al suo studio dell’Induismo e del Buddhismo e alla pratica quotidiana dello Yoga. Un oltraggio per i puristi, un omaggio un po’ irriverente, ma suggestivo, per gli amanti delle contaminazioni di genere.

Ho iniziato a studiare la Cabala, che è un’interpretazione mistica ebraica dell’Antico Testamento. Mi sono anche trovata molto vicina all’Induismo e allo yoga, e per la prima volta dopo tanto tempo, sono stata in grado di fare un passo fuori da me stessa e vedere il mondo da una prospettiva diversa.

Madonna
Madonna – “Ray of Light” (1998)



Iconico anche il videoclip, girato tra Svezia, New York e Las Vegas. Con la tecnica time-lapse racconta nel giro dei 5 minuti della canzone una giornata dall’alba al tramonto. Nel 1999 ha vinto ben due Grammy come Best Dance Recording and Best Short Form Music Video.

Anche se Madonna, anzi la Oil factory produttrice del video, venne accusata dal regista Stefano Salvati di aver plagiato con Ray Of Light un videoclip che aveva girato qualche anno prima, ovvero quello di Non è mai stato subito” (1994) di Biagio Antonacci.

La risposta che arrivò a Salvati dalla Oil Factory pare sia stata la seguente:
“Egregio signore – scrive Billy Poveda della Oil Factory al legale della Diamante Film- con il dovuto rispetto lei avrà più fortuna continuando a chiedere l’elemosina piuttosto che tentare di estorcere soldi alla Oil Factory. […] Gradirei che consigliasse al suo cliente di tornare al suo lavoro di fattorino di pizze cercando di non approfittare del duro lavoro di un altro regista. […] In poche parole consideri fallito il suo tentativo di risolvere la questione fuori dal tribunale”.

Dopo questa risposta è partita un’azione legale che si è risolta con un nulla di fatto: l’accusa non poteva essere sostenuta in quanto secondo i giudici entrambi avevano “tratto ispirazione” dal film di Godfrey Reggio “Koyaanisqatsi” che per primo aveva applicato la tecnica del “time-lapse” nel 1982.

Biagio Antonacci – “Non è mai stato subito” (1994)
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“Quelli che benpensano” dal 1968 ad oggi

È stata premiata come la migliore canzone italiana del 1997. Singolo di lancio dell’album “La morte dei miracoli”, “Quelli che benpensano” è stato un grandissimo successo di Frankie Hi-Nrg che ha conquistato pubblico, radio e le televisioni musicali.

“Quelli che benpensano” è stata definita una canzone d’autore declinata con le moderne sonorità dell’hip hop. È una canzone di denuncia, politica e sociale, specchio tagliente di quell’Italia di arrampicatori sociali senza scrupoli e senza morale. Figli del consumismo ossessivo ed eccentrico (Vivon col timore di poter sembrare poveri / Quel che hanno ostentano, tutto il resto invidiano) avvolti al perbenismo dilagante in una competizione per soldi e successo (L’imperativo è vincere / E non far partecipare nessun altro).

L’ironia del grande successo commerciale di “Quelli che benpensano” è essere finita tra i brani preferiti proprio di chi Frankie Hi-Nrg stava denunciando: “Sono intorno a noi, in mezzo a noi, in molti casi siamo noi”. Un successo nato da un testo d’autore unito ad una musica accattivante, un motivetto che si memorizza subito fin dal primo ascolto e che nasconde un “segreto”.

Frankie HI-NRG MC – “Quelli che benpensano” (1997)


La base musicale di “Quelli che benpensano” è stata campionata dall’incipit del brano “Dawn Comes Alone” cantata nel 1968 da Nicole Croisille, colonna sonora del film francese “Les jeunes loups” per la regia di Marcel Carné uscito nello stesso anno. Una scoperta recente raccontata in un’intervista del 2015 proprio dal rapper Ice One, produttore di “Quelli che benpensano”:

A distanza di quasi vent’anni, per farti un esempio, un ragazzo ha beccato il campionamento di “Quelli che benpensano” (Nicole Croisille – “Dawn Comes Alone”). Era il lato B di una colonna sonora, trovata pescando per caso in un mercatino (ride, ndr.).

Ice One
Nicole Croisille — “Dawn Comes Alone” (1968)


Ma non solo. L’intro di “Dawn Comes Alone” è stato campionato e a sua volta arrangiato unendo un altro campionamento: un frammento di un assolo di tromba contenuto nel brano “Blue Juice” di Jimmy McGriff (curiosamente sempre del 1968). Lo potete ascoltare cliccando qui al minuto 1 e 57 secondi.

“Quelli che benpensano” ha fatto storia, a partire dal videoclip ispirato al film “Il tassinaro” di Alberto Sordi. La regia è dello stesso Frankie Hi-Nrg e Riccardo Sinigallia (la voce del ritornello), si svolge tutto all’interno di un taxi che gira per le strade di Roma e accoglie diversi clienti, tutte le diverse tipologie di persone che sta raccontando il testo della canzone.

A poco più di vent’anni di distanza il rapper Marracash ha realizzato una rivisitazione del pezzo pubblicata nel suo album “Persona” (2019) con il titolo “Quelli che non pensano” in collaborazione con Coez. Un aggiornamento sull’evoluzione della società: Siamo passati da quelli che ben pensano a quelli che non pensanoannuncia il primo verso della canzone. Marracash racconta un’involuzione dell’individuo che dal “ben pensiero” perbenista anni ’90 è passato al “non pensiero” del 2020. Impegnato oggi a costruirsi una vita apparente e vuota da esibire sui social a caccia di like: “Stiamo cadendo col mondo in mano / Più a fondo vado e più capisco che (Quelli che non pensano) / Se penso al fondo, l’ho già superato / E ancora scavo e tu sei come me”.

Marracash – “Quelli che non pensano” (2019)


Toccare il testo di Frankie Hi-Nrg è un compito delicato. È la prima volta che viene modificato, anche se molte sono state le cover di “Quelli che benpensano” da Fiorella Mannonia a Caparezza fino ai tempi del Coronavirus che ha portato il remix di Vincenzo De Luca. In una parodia realizzata da DJ Stile il volto del governatore della Campania, grazie ad un abile montaggio, sostituisce quello di Frankie Hi Nrg alla guida del taxi del videoclip originale e “canta” alcune parti dei suoi famosi discorsi. Uno dei successi virali impazzati sul web ai tempi della quarantena: qui il link.

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“Thriller” non l’ha scritta Michael Jackson

Thriller” di Michael Jackson è il disco più venduto di tutti i tempi, si stima siano oltre 110 milioni le copie vendute. Sesto album in studio del Re del Pop, pubblicato il 30 novembre 1982, è una pietra miliare della musica, 9 brani che hanno fatto la storia e che nascondo qualche sorpresa.

Come la title-track “Thriller” che non è stata scritta da Michael Jackson, ma dal cantautore compositore, produttore discografico e musicista inglese Rod Temperton. Soprannominato “l’uomo invisibile” perché pur avendo firmato molti successi, e non solo per Michael Jackson, ha mantenuto sempre un basso profilo.

Rod Temperton collaborava con Quincy Jones, produttore di Michael Jackson, e aveva già lavorato col loro al precedente album “Off the Wall” (1979) di cui aveva composto la title-track e anche la traccia numero 2, “Rock with You”.

Johns chiese altri tre pezzi per l’album successivo e Temperton scrisse: “The Lady in My Life”, “Baby Be Mine” e “Starlight”. Le tre canzoni piacquero subito a Michael Jackson e Quincy Jones, ma non erano convinti del titolo dell’ultima, “Starlight”, volevano qualcosa di maggior impatto. L’ispirazione arrivò, di notte:

Mi sono svegliato in piena notte e ho detto questa parola. Qualcosa nella mia testa mi ha detto subito “questo è il titolo”. Potresti visualizzarlo in cima alle classifiche di Billboard, puoi immaginare il merchandising per questa sola parola, è saltato fuori da solo: “Thriller”.

Rod Temperton

E funzionò alla perfezione. “Thriller” oltre ad essere un singolo di successo e titolo dell’album più venduto nella storia, è anche il videoclip più famoso di sempre. Più che un videoclip si tratta di un cronometraggio, quasi “mini film” – la versione originale dura quasi 14 minuti – che Michael Jackson affidò alla regia di John Landis dopo aver visto il suo film “Un lupo mannaro americano a Londra”: rimase affascinato dalle ambientazioni e pensò di trasporre lo stile horror in musica.

Tra le tante curiosità del videoclip (che stava anche per non essere realizzato a causa del budget milionario richiesto che non entusiasmò la casa discografica) come dimenticare l’ululato del licantropo in apertura: per realizzarlo fu portato in studio un alano di 90 chili, che però non volle collaborare e costrinse lo stesso Michael Jackson a tentare di riprodurre con la sua voce quel suono sinistro, riuscendoci poi alla perfezione. Il cigolio della porta venne campionato da una porta dei bagni dello studio e il rumore dei passi fu realizzato facendo camminare su una pedana di legno Michael Jackson fino ad ottenere l’effetto desiderato.

La voce fuori campo e la malvagia risata finale sono invece dell’icona del cinema horror Vincent Price, coinvolto nel progetto grazie alla moglie del produttore Quincy Jones, amica di Price.

Ultima curiosità sull’album: la celebre ballata “Human Nature” – traccia numero 7 del disco ed altro grande successo – è stata scritta da Steve Porcaro, tastierista dei Toto. Pare ispirata dalla figlia, all’epoca in prima elementare, che tornò a casa in lacrime perché un suo compagno di scuola l’aveva spinta, per confortarla le disse: “è la natura umana”.
Il demo arrivò per caso nelle mani di Quincy Jones e poi di Michael Jackson che la volle inserire in “Thriller” e l’ha poi incisa insieme ai Toto per la parte strumentale.

Attenzione: questo non toglie nulla all’importanza, alla bravura e al genio che hanno reso Michael Jackson l’indiscusso Re del Pop!

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Un altro frenetico lunedì con Prince, le Bangles e i Green Day

Le Bangles sono state uno dei più grandi fenomeni commerciali degli anni Ottanta. Una band tutta al femminile dal sound retrò che cercava di richiamare lo spirito degli anni Sessanta, lontano dal contemporaneo Rock da stadio. Un gradevole, allegro e a tratti nostalgico Pop-Rock radiofonico che raggiunse la vetta delle classifiche di tutto il mondo con le hit: “Manic Monday”, “Walk Like ad Egyptian” e “Eternal Flame”.

Il primo grande successo per le californiane Bangles arrivò nel 1986 con il singolo “Manic Monday” che fece il giro del mondo e si piazzò al secondo posto delle classifiche inglesi e statunitensi, ma non riuscì a spodestare la vetta saldamente occupata dalla famosissima “Kiss” di Prince.

The Bangles – “Manic Monday” (1986)


Ed era stato proprio il genio di Prince a dare una notevole spinta al successo delle Bangles: “Manic Monday” infatti è stata scritta e composta dallo stesso Prince (con lo pseudonimo “Christopher”), in origine per un altro gruppo femminile creato da lui nel 1980, le Apollonia 6.

Si racconta che Prince abbia scoperto le Bangles vedendo un loro videoclip su MTV, ne rimase molto colpito e si recò ad un loro concerto. Il gossip anni ’80 dice che Prince fosse un loro vero fan, che conoscesse le loro canzoni a memoria e che si fosse innamorato della leader del gruppo, Susanna Hoffs. Queste voci non furono mai confermate, ma di certo si sa che Prince regalò loro un demo con sue due canzoni indedite: “Jealous Girl” (scartata) e “Manic Monday”.

Apollonia 6 – “Manic Monday” (demo 1984)

Sono andata a prendere una cassetta. C’erano due canzoni, una era “Manic Monday” e l’altra si intitolava “Jealous Girl”. Dovrei cercare quella cassetta, so di averla ancora, è in una scatola da qualche parte. Nella demo la canzone era cantata da una ragazza. Penso che ci stesse regalando quel pezzo e avremmo dovuto cantarlo in quel modo, ma volevamo rifare tutto da zero

Susanna Hoffs, The Bangles

Che emozione deve essere stata per le Bangles incidere un pezzo scritto da una superstar! Susanna Hoffs in un’intervista racconta che mentre era in sala di registrazione ad incidere quella canzone l’emozione era così forte che si sentiva quasi come se avesse la febbre alta. «Sapevo che era una canzone dei Prince e volevo fare un ottimo lavoro. Quelle vibrazioni sono la migliore sensazione al mondo. Registrare crea molto stress psicologico: c’è tanta pressione perché c’è molto in gioco e vuoi essere sicuro di fare del tuo meglio, dato che deve essere catturato per sempre su nastro. (…) Prince è venuto alle nostre prove dopo che il disco era finito, ed era davvero elettrizzato per come era venuto. Penso che abbia detto qualcosa del tipo: “Oh, sono stato sorpreso che voi ragazzi non abbiate usato la mia traccia” o qualcosa del genere. Ma ne è stato molto contento».

Prince – “Manic Monday” (demo)


Una demo di “Manic Monday” cantata da Prince è stata recentemente pubblicato nel 2019 nell’album “Original” un album di 15 tracce con 14 registrazioni inedite che mettono luce sul ruolo vitale dietro le scene che Prince ha avuto nelle carriere di altri artisti. Oltre che grandissimo performer, cantante e musicista, a metà degli anni ’80 Prince dominava le classifiche anche come autore/produttore con le canzoni che aveva composto e registrato per molti altri artisti.

In tempi di quarantena e Coronavirus, “Manic Monday” è stata “riscoperta” da Billie Joe Armstrong, frontman dei Green Day. Un regalo ai fan di cui è stato realizzato anche un videoclip: rigorosamente dal divano di casa Billie Joe duetta a distanza proprio con Susanna Hoffs, scatenata dal suo salotto con la chitarra in spalla.

Billie Joe Armstrong of Green Day – “Manic Monday” (aprile 2020)
(Appearing Susanna Hoffs of The Bangles)
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Verve vs Rolling Stones: Bitter Sweet “War”

Era il 1997 quando uscì il primo singolo del terzo album “Urban Hymns” di una band allora semi-sconosciuta: “Bitter Sweet Symphony” dei Verve. Sulla scia del Brit-Pop lanciato da Oasis e Blur, divenne una delle canzoni di maggior successo di quegli anni, grazie anche al memorabile videoclip in cui Richard Ashcroft, leader e cantante della band, cammina sul marciapiede all’incrocio tra Hoxton and Falkirk Streets nel nord di Londra.

Indifferente a tutto ciò che gli accade attorno, procede dritto e sicuro per la sua strada, senza mai spostarsi o fermarsi finendo per urtare chiunque incontri. Ashcroft ricorderà in un’intervista come il video fu ispirato da una raccomandazione che gli ripeteva spesso sua madre quando era piccolo: nella vita bisogna andare avanti sempre a testa alta e non fermarsi davanti a nulla.

The Verve – “Bitter Sweet Symphonie” (1997)


Il videoclip di “Bitter Sweet Symphony” prende anche ispirazione dal video di “Unfinished Sympathy” dei Massive Attack (1991) nel quale Shara Nelson passeggia in un quartiere di Los Angeles. Le curiosità sul brano che ha consacrato i Verve e Richard Ashcroft icona del Rock mondiale non sono finite qui.

Forse non tutti sanno che il famosissimo giro orchestrale, struttura portante dell’intero brano, non è originale, ma è stato campionato da una celebre canzone dei Rolling Stones, “The Last Time” (1965). Per la precisione da una particolare versione strumentale di questo brano pubblicata nell’album “The Rolling Stones Songbook” (1966): un progetto ideato dall’allora manager degli Stones che aveva fatto incidere i loro maggiori successi ad una orchestra creata ad hoc per l’occasione, la Andrew Loog Oldham Orchestra.

The Andrew Loog Oldham Orchestra – “The Last Time” (1966)


L’idea di utilizzare questo sample del brano dei Rolling Stones pare sia stata del bassista dei Verve, Martin Glover. Come in tutte le leggende Rock che si rispettino, sembra che Richard Ashcroft non volesse nemmeno inserire “Bitter Sweet Symphony” nel disco, non lo convinceva; fu solo quando Glover gli propose un arrangiamento con un’orchestra d’archi che cambiò idea.

Chiesero ed ottennero il permesso di usare poche note della versione orchestrale di “The Last Time” dei Rolling Stones e crearono il brano sulla base di quella struttura armonica enfatizzandone la solennità. Un’unione quasi paradossale se si analizza il testo della canzone che non ha nulla di trionfale, anzi è un triste inno esistenzialista: descrive il paradosso di un’esistenza votata al dio danaro e alla convinzione di dover lavorare per vivere.

Il primo verso di Bitter Sweet Symphony dice: “Sei schiavo dei soldi e poi muori”. Nessuno avrebbe detto che sarebbe diventata una hit.

Richard Ashcroft

Una “dolce e amara sinfonia” che ha scatenato una lunga serie di controversie giudiziarie. Dopo un iniziale accordo di utilizzo di quelle poche note del brano, pare per una divisione dei diritti al 50 e 50, Allen Klein il manager dei Rolling Stones (forse vedendo che il sample era diventato l’intera struttura musicale del brano o forse intuendone il successo) pretese il 100% dei diritti e gli autori della musica di “Bitter Sweet Symphony” risultarono Mick Jagger e Keith Richards. Ashcroft commentò sarcasticamente: “È la più bella canzone che Jagger e Richards hanno scritto negli ultimi 20 anni”.

Questo causò la perdita di una grande quantità di introiti per Richard Ashcroft e i Verve, “Bitter Sweet Symphony” in quegli anni incassò molto. Era sulla vetta delle principali classifiche, candidata a Grammy Awards e MTV Music Award, utilizzata come colonna sonora di molte pubblicità, programmi televisivi e film.


Richard Ashcroft decise di intraprendere le vie legali, un lungo percorso che si concluse solo nell’aprile del 2019 con la rinuncia di Jagger e Richards ai diritti sulla canzone e il passaggio di tutte le royalties ad Ashcroft.

È stato un gesto molto gentile e magnanimo da parte loro. Non ho mai avuto niente di personale con gli Stones. Sono sempre stati la più grande rock band del mondo. Ed è stata una conclusione fantastica. Ti fa guardare positivamente alla vita.

Richard Ashcroft
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Una cover che fa “Primavera”

Anche quest’anno la Primavera è arrivata, citando Neruda: “potranno tagliare tutti i fiori, ma non fermeranno mai la Primavera”. È la stagione della rinascita che ha ispirato tanti artisti, poeti e musicisti, da compositori classici come Antonio Vivaldi e Igor’ Stravinskij alle canzoni Pop di Loretta Goggi e Riccardo Cocciante. Oggi vi parlo di un successo di metà anni ’90, una canzone gioiosa e spensierata capace di raccontare tutto il senso di fresca libertà che ci regala la Primvera.

“Respiriamo l’aria e viviamo aspettando Primavera” semplice ritornello di un vero e proprio tormentone pubblicato nel 1997 dalla cantante romana Marina Rei. Figlia di Vincenzo Restuccia, batterista di Ennio Morricone, Marina Rei è una bellissima voce della scena musicale italiana. Iniziò la sua carriera nei primi anni ’90 con lo pseudonimo di Jamie Dee componendo alcuni dischi Dance, ma raggiunse il successo con il singolo “Primavera” secondo estratto dall’album “Donna” nel 1997.

Un successo che ogni anno ancora oggi torna nelle radio e che ha superato la prova del tempo, anche se in realtà è una cover del brano “You to Me Are Everything” pubblicato nel 1976 dallo sconosciuto gruppo inglese The Real Thing. All’uscita ebbe un moderato riscontro, ma tornò in classifica in una versione remixata nel 1986 ottenendo, stavolta, un enorme successo.

The Real Thing – ” You to Me Are Everything” (1976)


“Primavera” è stata un grandissimo successo, ad oggi il più grande successo commerciale di Marina Rei che le ha permesso di raggiungere la vetta delle classifiche e vincere il “Disco per l’estate” del 1997. Anche se forse non è il suo brano più rappresentativo.

Una menzione speciale va anche al videoclip ufficiale in cui compaiono gli attori Margherita Buy e Dario Cassini in una curiosa rivisitazione del film cult “Thelma & Louise” del 1991 diretto da Ridley Scott con Geena Davis e Susan Sarandon. Due amiche in fuga alla ricerca di libertà… e il finale, sarà come nel film?

Marina Rei – “Primavera” (1997)
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Alta Marea: la cover di Venditti e il debutto di Angelina Jolie

Era il 1991 quando uscì l’album “Benvenuti in Paradiso” di Antonello Venditti, il suo più grande successo commerciale, ad oggi ancora il più venduto dell’intera discografia del cantautore romano. Il singolo di lancio e brano traino del successo del disco era la famosissima “Alta marea”.

Non c’è bisogno di ulteriori presentazioni, Venditti e “Alta marea” sono dei pilastri della canzone italiana. Forse però non è a tutti noto che “Alta marea” in realtà sia una cover. La voce di Antonello Venditti in “Autostrada deserta, alla confine del mare…” è così iconica che sembra assurdo pensare che la versione originale di questa canzone si intitola “Don’t dream it’s over” ed è un pezzo della band australiana Crowded House datato 1986.

Crowded House – “Don’t dream it’s over” (1986)


I Crowded House sono semi sconosciuti nel mondo, ma famosissimi in Australia. Hanno raggiunto la fama mondiale con il terzo singolo del loro primo omonimo album pubblicato nel 1986, la ballata pop “Don’t dream it’s over” scritta dal cantante Neil Finn. Resterà il loro unico grande successo internazionale e vincerà gli MTV Video Awards del 1987 nella categoria “Best new artist of the year”.

La versione di Antonello Venditti “Alta marea” mantiene la musica di Neil Finn e ne riscrive il testo. Venditti racconta un forte legame d’amore, il senso di dipendenza o appartenenza che si può provare e la forte paura di perdere la persona amata. Ennesimo successo di una carriera già consolidata, tra i capolavori della musica italiana, “Alta marea” spopola in radio e televisione anche grazie al videoclip girato da Stefano Salvati, regista di video musicali, spot, programmi tv con i pià grandi protagonisti della musica italiane e internazionale.

Girato a Los Angeles, il videoclip di “Alta marea” ha fatto storia: fu il debutto di una sconosciuta e sedicenne Angelina Jolie, scelta ad un casting tra oltre 200 ragazze, che in seguito diventerà una delle attrici più famose e ammirate al mondo.

Vista dal vivo era come tante altre, anzi era anche un po’ bassina (non arrivava al metro e 70), ma davanti alla cinepresa era favolosa! La scelsi per il ruolo da protagonista… si chiamava Angelina Jolie ed “Alta marea” era il suo primo lavoro.

Stefano Salvati
Antonello Venditti – “Alta marea” (1991)


Ultima curiosità: tra i musicisti che hanno collaborato al progetto del disco “Benvenuti in paradiso” figura anche l’attore Carlo Verdone nelle vesti di batterista e percussionista, e anche il maestro Demo Morselli alla tromba ed al flicorno.

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Il giorno in cui la musica morì

“Bye, bye Miss American Pie, drove my Chevy to the levee but the levee was dry…” se la canticchiamo molto probabilmente è grazie alla cover che ne fece Madonna nel 2000. La sua “American Pie” è stata un successo, colonna sonora del film di John Schlesinger “Sai che c’è di nuovo?” (The Next Best Thing) dove recitava come protagonista insieme a Rupert Everett.

Nell’iconico videoclip Madonna in jeans patchwork, canotta e coroncina da reginetta, balla il mito americano. Alle sue spalle un’enorme bandiera degli Stati Uniti e una carrellata di simboli ed immagini che celebrano il suo Paese.

Madonna – “American Pie” (2000)


La storia di “American Pie” inizia il 3 febbraio 1959, il giorno in cui tre vere e proprie icone del Rock’n’Roll persero la vita in un terribile incidente aereo. Erano Buddy Holly, J. P. “The Big Bopper” Richardson e Ritchie Valens (rispettivamente di 22, 28 e 17 anni) insieme al pilota Roger Peterson, solo ventunenne e purtroppo inesperto.

Viaggiavano insieme per il tour “White Dance Party” che prevedeva 24 concerti in 24 città diverse tra il 23 gennaio e il 15 febbraio. Gli spostamenti erano lunghi, snervanti, il tour non era stato organizzato nel migliore dei modi. Viaggiavano su un pullman scassato che si rompeva spesso costringendoli a lunghe attese per le riparazioni, al gelo sul ciglio della strada.

Il 2 febbraio erano a Clear Lake in Iowa, il giorno dopo avevano un concerto in Minnesota e quello successivo sarebbero dovuti tornare a suonare in Iowa. Buddy Holly non ce la faceva più, decise di noleggiare un piccolo aereo per rendere più veloce e semplice quell’ennesimo spostamento. Qui entra in gioco il destino: non ci stavano tutti, chi sale sull’aereo e chi sul pullman? Le versioni non coincidono: c’è chi racconta che Richardson chiese di poter salire in aereo perché malato e che Valens vinse il posto a testa e croce con il chitarrista di Buddy Holly, altri dicono che fosse già tutto deciso così. Nevicava, la visibilità era molto bassa, il pilota era inesperto e non era stato ben informato delle condizioni meteo. Il piccolo aereo precipitò quasi subito, lo trovarono a pochi chilometri dal punto della partenza.


La notizia causò un grande shock negli Stati Uniti, anche se giovanissimi i tre erano già delle star del Rock’n’Roll. Buddy Holly era in televisione da quando aveva 16 anni, aveva aperto i concerti di Elvis Presley, i suoi occhiali con la montatura spessa erano (e sono ancora) un’icona e con la sua Fender Stratocaster aveva inventato uno stile che prima non c’era, la sua hit più famosa: “Peggy Sue”. Ritchie Valens era il più giovane, il suo stile mescolava il Rock’n’Roll con la musica Latina, sua è una delle canzoni più famose degli anni ’50 “La Bamba”. E poi c’era Richardson, texano come Buddy Holly, che aveva sbancato con la sua “Chantilly Lace”.

Questo triste incidente in America è ricordato come “Il giorno in cui la musica morì”, espressione presa da un verso (The day the music died) della celebre canzone “American Pie” di Don McLean uscita molto più tardi, nel 1971. Nel 1959 McLean aveva 13 anni e si guadagnava qualche soldo consegnando i giornali e la notizia la apprese proprio così: campeggiava su tutte le prime pagine di quelle pile di giornali da consegnare.

Don McLean – “American Pie” (copertina)

Quell’incidente fu una vera e propria tragedia mai dimenticata per il ragazzino Don McLean che si tradusse in musica molti anni dopo. “American Pie” fu pubblicata nel 1971 nell’omonimo album e nel retro copertina si legge la scritta “Dedicated to Buddy Holly”. Dura 8 minuti e mezzo e raggiunse la prima posizione nelle classifiche Billboard Hot 100 per quattro settimane diventando una pietra miliare della musica leggera americana.

Volvevo scrivere una grande canzone sull’America e sulla politica, ma volevo farlo in un modo diverso. Mentre stavo suonando, ho iniziato a cantare qualcosa sull’incidente di Buddy Holly, che faceva così: “Long, long time ago, I can still remember how that music used to make me smile” (Molto, molto tempo fa, riesco ancora a ricordare come quella musica mi faceva sorridere). Ho pensato “Wow!” e poi “The day the music died” è venuta così, di conseguenza e ho pensato fosse una bella idea.

Don McLean

Il testo della canzone è molto lungo e negli anni è stato interpretato in molti e diversi modi. “American Pie” prende quel terribile incidente come metafora della perdita dell’innocenza della generazione che aveva assistito alla nascita del Rock’n’Roll negli anni ’50 e si avviava verso periodi più oscuri sia nella musica sia nella politica.

Una spiegazione l’ha poi data Don McLean nel suo sito web: «Sono molto orgoglioso della canzone. È di natura biografica e non credo che nessuno l’abbia mai capito. La canzone inizia con i miei ricordi della morte di Buddy Holly, ma continua a descrivendo l’America mentre la vedevo e come stavo immaginando che potesse diventare. Quindi è in parte realtà e in parte fantasia, come quando sogni qualcosa che cambia in qualcos’altro ed è illogico quando ci ripensi al mattino, ma quando stai sognando sembra perfettamente logico. (…) Ecco perché non ho mai analizzato i testi delle canzoni. Sono al di là dell’analisi. Sono poesie».


Tanto tanto tempo fa / Ricordo come quella musica mi facesse sorridere 
E sapevo che se avessi avuto la mia occasione / Avrei fatto ballare quella gente 
E forse sarebbero stati felici per un po’.
Ma febbraio mi faceva venire i brividi / Ogni volta che consegnavo i giornali  
Lasciavo brutte notizie davanti alla porta / Non potevo andare avanti così.
Non ricordo se ho pianto / Quando ho letto della sua sposa rimasta vedova  
Ma qualcosa mi ha toccato nel profondo / Il giorno in cui la musica morì.


Grazie al successo ottenuto con “American Pie” Don McLean divenne famoso molto velocemente e questo lo porterà a vivere anche un periodo di depressione. “American Pie” è un successo ancora oggi e sono stati moltissimi negli anni i musicisti che si sono cimentati in cover ed interpretazioni, tra cui la famosissima versione di Madonna che così commenta McLean:

«Madonna è un colosso dell’industria musicale e sarà anche un’importante figura nella storia della musica. È una brava cantante, una brava cantautrice e produttrice discografica, e ha il potere di garantire il successo a qualsiasi canzone che sceglie di registrare. È un regalo per lei aver registrato “American Pie”. Ho sentito la sua versione e penso che sia sensuale e mistica. Penso che abbia scelto di cantare i versi per lei più autobiografici che riflettono la sua carriera e la sua storia personale. Spero che la gente si chieda cosa sta succedendo alla musica in America. Ho ricevuto molti doni da Dio, ma questa è la prima volta che ricevo un dono da una dea» .

Don McLean – “American Pie” (live alla BBC, 1972)