Browsing Tag

pop

disCover

“Don’t Let Me Be Misunderstood”: da Nina Simone a Tarantino

Era l’estate nel 1977 e nelle discoteche impazzava un tormentone dal ritmo spagnoleggiante, un flamenco in versione disco music che ha fatto ballare tutti. Era la famosissima “Don’t Let Me Be Misunderstood” del gruppo franco-americano degli Santa Esmeralda. Una canzone famosa ancora oggi, un riempi-pista mai passato di moda che nasconde una lunga storia.

La storia di “Don’t Let Me Be Misunderstood” inizia dieci anni prima: la melodia principale e il ritornello di sono opera del compositore ed arrangiatore Horace Ott a cui è venuta l’ispirazione dopo una lite con la sua fidanzata. Ott poi portò il materiale alla coppia di compositori Bennie Benjamin e Sol Marcus che completarono il brano, ma al momento di riconoscerne i diritti le leggi dell’epoca impedirono al compositore della BMI di collaborare ufficialmente con i due della ASCAP, così Ott non comparve.

La prima versione del brano venne incisa da Nina Simone ed uscì nel nell’album del 1964 Broadway Blues Ballads” e fu chiesto a Horace Ott di dirigerne l’orchestra e di curare anche gli arrangiamenti dell’intero album. Questa prima versione di “Don’t Let Me Be Misunderstood” era una lenta ballata con arrangiamenti d’arpa ed orchestra supportati in più punti da un coro, con la voce di Nina Simone capace di spaziare dal Jazz, al bìBlues, al Soul, al Folk e all’R&B a darne il tocco distintivo.

Nina Simone – “Don’t Let Me Be Misunderstood” (1964)


La versione di Nina Simone non ebbe successo. I primi ad intuirne il potenziare e a realizzare la prima cover fu la rock band britannica degli Animals che la pubblicarono l’anno successo, nel 1965, in una versione completamente diversa. Gli Animals cambiarono lo stile e diedero al brano un’impronta Rock.

Il ritmo fu accelerato e idearono il famoso riff di chitarra elettrica ed organo ampliando un breve motivo che i cordofoni eseguivano in coda al brano originario. Il pezzo scalò subito le classifiche arrivando terzo nella UK Single Chart, quindicesimo nella statunitense Billboard Hot 100 e quarto in Canada; inoltre è stato inserito alla posizione 315 nella lista delle cinquecento migliori canzoni secondo la rivista Rolling Stones.

The Animals – “Don’t Let Me Be Misunderstood” (1965)


La versione più famosa arrivò nel 1977 con i Santa Esmeralda che arricchirono il pezzo con sonorità latine e lo consacrarono come uno dei brani più riconoscibili dell’universo della disco music. Brano di punta del loro album d’esordio, questa versione di “Don’t Let Me Be Misunderstood” durava ben 16 minuti. Pur mantenendo gli arrangiamenti rock degli Animals, i Santa Esmeralda diedero al brano uno stile Disco aggiungendo i ritmi latini del flamenco con chitarre classiche, fiati, percussioni ed altri elementi caratteristici come il battito di mani e il rumore creato dai ballerini con il tacco delle scarpe.

Una versione completamente diversa dall’originale di Nina Simone, un ritmo irresistibile che trasformò “Don’t Let Me Be Misunderstood” in un classico e intramontabile riempi-pista.

Santa Esmeralda – “Don’t Let Me Be Misunderstood” (1977) – video ufficiale
(per la versione integrale da 16 minuti clicca qui)


Il pezzo dei Santa Esmeralda tornò alla ribalda e raggiunse una nuova generazione di ascoltatori nel 2003 quando fu scelto dal regista Quentin Tarantino nella colonna sonora del suo famosissimo film “Kill Bill, vol. I”. La parte centrale strumentale di questo strano flamenco versione disco-dance accompagna una delle sequenze più epiche del film: il duello tra La Sposa e O-Ren Ishii.

Ritmi latini, flamenco, trombe e chitarre ad accompagnare la prima parte di un duello dove due affilate katane si scontrano mentre la neve cade leggera in un giardino giapponese. Sullo schermo tutto funziona ed è reso credibile grazie ad un perfetto sincronismo tra immagini e musica che rendono il duello una sorta di balletto dove ogni mossa rientra in una coreografia ben studiata. Un momento magico, epico, un notturno quasi fuori dal tempo.

il duello tra La Sposa e O-Ren Ishii (integrale)
dal film “Kill Bill. Vol.I” – regia di Quentin Tarantino
disCover

“My Way” non l’ha scritta Frank Sinatra e stava per farlo Bowie

“My Way” è un capolavoro immortale della musica leggera. Cavallo di battaglia di Frank Sinatra e quasi una confessione in musica di un artista alla fine della carriera. Siamo alla fine degli anni ’60 e la rivoluzione del Pop e Rock aveva messo Sinatra all’angolo: lo show business era ormai concentrato sui giovani e su sonorità molto distanti dalle sue.

And now, the end is near, and so I face the final curtain” (ed ora che la fine è vicina affronto l’ultimo sipario). Da oltre 50 anni la canzone simbolo di Frank Sinatra, un testo che racconta così bene il momento che stava vivendo, ma non è stata scritta da “The Voice”.

La storia di “My Way” inizia in Francia a metà anni ’60 con un brano dal titolo “For me” del compositore e cantante Jacques Revaux che non ottenne molto successo. La canzone fu ripresa nel 1967 dall’italo-francese Claude Francois che ne riscrisse il testo e la titolò “Comme d’Habitude”, un racconto disperato di un amore finito, di un uomo sconfitto la cui vita si era trasformata in una routine banale e senza senso.

Claude Francois – “Comme d’ Habitude” (1967)


È a questo punto della storia che fa il suo ingresso in scena l’autore del testo di “My Way”: Paul Anka. Uno dei cantanti e compositori di maggior successo del tempo, ha scritto alcune delle canzoni più rappresentative degli anni ’50 e ’60 come “Diana”, “You are my destiny”, “Lonely Boy”. Paul Anka era in vacanza in Francia quando ascoltò per caso alla radio “Comme d’Habitude”, ne intuì il potenziale e ne acquistò i diritti per una cifra irrisoria.

Anka era molto amico di Frank Sinatra, una sera a cena Sinatra si confidò con lui: era stanco, voleva lasciare il mondo della musica che non riusciva più a dargli soddisfazioni. Non sopportava nemmeno più di cantare le sue canzoni. E così arrivò l’idea, Paul Anka si mise a scrivere il testo di “My Way”: racconta la storia di un uomo che ripensa a ciò che ha fatto nella sua vita, agli errori, alle gioie e ai successi, senza rinnegare nulla, non ha rimorsi poiché ha sempre vissuto a modo suo.

Frank Sinatra – “My Way” (live 1974)

Frank Sinatra la pubblicò nel 1969 e fu da subito un grandissimo successo, mai amato da Sinatra che considerava la canzone troppo autoindulgente e autodeclamatoria. La casa discografica di Paul Anka non prese affatto bene la decisione di lasciare il pezzo a Frank Sinatra e così poco dopo anche Paul Anka incise la sua versione della canzone, dando il via a una lunghissima serie di celebri cover.

La storia di “My Way” è passata anche per le mani di un giovane e ancora sconosciuto David Bowie. Siamo a metà anni ’60 e il suo manager, Ken Pitt, gli fece ottenere un contratto come autore presso le edizioni musicali Essex Music. Tra le tante commissioni, gli venne proposto di riadattare in inglese il testo di una canzone francese, proprio “Comme d’Habitude” che Bowie titolò “Even a fool learns to love”. Il testo raccontava di come la facile allegria di un clown potesse essere soggiogata dall’improvvisa scoperta dell’amore. La sua versione però non piacque ai discografici e la scartarono.

David Bowie – “Even a fool learns to love” (demo 1968)


Un episodio che lasciò una traccia nella discografia di David Bowie che decise di prendere in prestito gli accordi iniziali di “My Way” e utilizzarli anche se in modalità completamente diversa per la sua “Life on Mars?” (pubblicata nel 1971 nell’album “Hunky Dory”). Per questo sul retro copertina dell’album si legge la curiosa annotazione “Inspired by Frankie”.

disCover

Un raggio di sole per Madonna

“Ray of Light” (1998) è il disco della maturità che ha salvato Madonna, la Regina del Pop. Dopo il danno d’immagine di “Erotica” e del libro “Sex”, gli scandali e le scomuniche del Vaticano ecco la redenzione. Dopo una vita da “material girl” piena di vuoto e superficialità, è anche grazie alla nascita della figlia, Louise Veronica Ciccone, che avviene il cambiamento, annunciato fin dalla canzone d’apertura del disco “Drowned World/Substitute for Love” che inizia col verso: “I traded fame for love” (Ho scambiato la fama per amore).

Un riscatto verso una visione più profonda e spirituale dell’esistenza, come un raggio di sole. “Ray of light” non è solo il titolo dell’album, ma è anche una delle canzoni più iconiche che Madonna abbia mai pubblicato. Cinque minuti di techno- dance-pop di fine anni ’90 che si mescola in atmosfere calme e ipnotiche. Anche se è uno dei pochissimi pezzi non concepiti fin dall’inizio da un’idea di Madonna.

“Ray of Light” trae ispirazione da un brano titolato “Sepheryn” scritto da Clive Muldoon e Dave Curtis nel 1971. Una prima versione fu realizzata dal produttore William Orbit insieme alla cantante Christine Leach, a cui venne dato il titolo di “Zephyr In The Sky”. In questa versione germinale e con questo titolo provvisorio venne fatta ascoltare insieme ad altre demo a Madonna.

Clive Muldoon e Dave Curtis – “Sepheryn” (1971)


Lady Ciccone decise di lavorarci insieme al suo produttore William Orbit e cambiò parte del testo inserendo una nuova strofa: “Faster than the speeding light she’s flying / Trying to remember where it all began / Shes got herself a little piece of Heaven / Waiting for the time when Earth shall be as one” (Più veloce della luce, sta volando / cercando di ricordare dove tutto ebbe inizio / Si è procurata un piccolo pezzo di Paradiso / aspettando che arrivi il momento in cui la Terra si unirà al suo paradiso). Nasce così il successo di “Ray of Light”.

Una canzone che parla di libertà, con uno sguardo mistico all’Universo e a quanto piccolo sia l’essere umano rispetto alla sua infinita vastità. Tutto l’album “Ray of Light” presenta riferimenti mistici dovuti all’avvicinamento di Madonna alla Cabala ebraica, al suo studio dell’Induismo e del Buddhismo e alla pratica quotidiana dello Yoga. Un oltraggio per i puristi, un omaggio un po’ irriverente, ma suggestivo, per gli amanti delle contaminazioni di genere.

Ho iniziato a studiare la Cabala, che è un’interpretazione mistica ebraica dell’Antico Testamento. Mi sono anche trovata molto vicina all’Induismo e allo yoga, e per la prima volta dopo tanto tempo, sono stata in grado di fare un passo fuori da me stessa e vedere il mondo da una prospettiva diversa.

Madonna
Madonna – “Ray of Light” (1998)



Iconico anche il videoclip, girato tra Svezia, New York e Las Vegas. Con la tecnica time-lapse racconta nel giro dei 5 minuti della canzone una giornata dall’alba al tramonto. Nel 1999 ha vinto ben due Grammy come Best Dance Recording and Best Short Form Music Video.

Anche se Madonna, anzi la Oil factory produttrice del video, venne accusata dal regista Stefano Salvati di aver plagiato con Ray Of Light un videoclip che aveva girato qualche anno prima, ovvero quello di Non è mai stato subito” (1994) di Biagio Antonacci.

La risposta che arrivò a Salvati dalla Oil Factory pare sia stata la seguente:
“Egregio signore – scrive Billy Poveda della Oil Factory al legale della Diamante Film- con il dovuto rispetto lei avrà più fortuna continuando a chiedere l’elemosina piuttosto che tentare di estorcere soldi alla Oil Factory. […] Gradirei che consigliasse al suo cliente di tornare al suo lavoro di fattorino di pizze cercando di non approfittare del duro lavoro di un altro regista. […] In poche parole consideri fallito il suo tentativo di risolvere la questione fuori dal tribunale”.

Dopo questa risposta è partita un’azione legale che si è risolta con un nulla di fatto: l’accusa non poteva essere sostenuta in quanto secondo i giudici entrambi avevano “tratto ispirazione” dal film di Godfrey Reggio “Koyaanisqatsi” che per primo aveva applicato la tecnica del “time-lapse” nel 1982.

Biagio Antonacci – “Non è mai stato subito” (1994)
disCover

“Thriller” non l’ha scritta Michael Jackson

Thriller” di Michael Jackson è il disco più venduto di tutti i tempi, si stima siano oltre 110 milioni le copie vendute. Sesto album in studio del Re del Pop, pubblicato il 30 novembre 1982, è una pietra miliare della musica, 9 brani che hanno fatto la storia e che nascondo qualche sorpresa.

Come la title-track “Thriller” che non è stata scritta da Michael Jackson, ma dal cantautore compositore, produttore discografico e musicista inglese Rod Temperton. Soprannominato “l’uomo invisibile” perché pur avendo firmato molti successi, e non solo per Michael Jackson, ha mantenuto sempre un basso profilo.

Rod Temperton collaborava con Quincy Jones, produttore di Michael Jackson, e aveva già lavorato col loro al precedente album “Off the Wall” (1979) di cui aveva composto la title-track e anche la traccia numero 2, “Rock with You”.

Johns chiese altri tre pezzi per l’album successivo e Temperton scrisse: “The Lady in My Life”, “Baby Be Mine” e “Starlight”. Le tre canzoni piacquero subito a Michael Jackson e Quincy Jones, ma non erano convinti del titolo dell’ultima, “Starlight”, volevano qualcosa di maggior impatto. L’ispirazione arrivò, di notte:

Mi sono svegliato in piena notte e ho detto questa parola. Qualcosa nella mia testa mi ha detto subito “questo è il titolo”. Potresti visualizzarlo in cima alle classifiche di Billboard, puoi immaginare il merchandising per questa sola parola, è saltato fuori da solo: “Thriller”.

Rod Temperton

E funzionò alla perfezione. “Thriller” oltre ad essere un singolo di successo e titolo dell’album più venduto nella storia, è anche il videoclip più famoso di sempre. Più che un videoclip si tratta di un cronometraggio, quasi “mini film” – la versione originale dura quasi 14 minuti – che Michael Jackson affidò alla regia di John Landis dopo aver visto il suo film “Un lupo mannaro americano a Londra”: rimase affascinato dalle ambientazioni e pensò di trasporre lo stile horror in musica.

Tra le tante curiosità del videoclip (che stava anche per non essere realizzato a causa del budget milionario richiesto che non entusiasmò la casa discografica) come dimenticare l’ululato del licantropo in apertura: per realizzarlo fu portato in studio un alano di 90 chili, che però non volle collaborare e costrinse lo stesso Michael Jackson a tentare di riprodurre con la sua voce quel suono sinistro, riuscendoci poi alla perfezione. Il cigolio della porta venne campionato da una porta dei bagni dello studio e il rumore dei passi fu realizzato facendo camminare su una pedana di legno Michael Jackson fino ad ottenere l’effetto desiderato.

La voce fuori campo e la malvagia risata finale sono invece dell’icona del cinema horror Vincent Price, coinvolto nel progetto grazie alla moglie del produttore Quincy Jones, amica di Price.

Ultima curiosità sull’album: la celebre ballata “Human Nature” – traccia numero 7 del disco ed altro grande successo – è stata scritta da Steve Porcaro, tastierista dei Toto. Pare ispirata dalla figlia, all’epoca in prima elementare, che tornò a casa in lacrime perché un suo compagno di scuola l’aveva spinta, per confortarla le disse: “è la natura umana”.
Il demo arrivò per caso nelle mani di Quincy Jones e poi di Michael Jackson che la volle inserire in “Thriller” e l’ha poi incisa insieme ai Toto per la parte strumentale.

Attenzione: questo non toglie nulla all’importanza, alla bravura e al genio che hanno reso Michael Jackson l’indiscusso Re del Pop!

disCover

Un altro frenetico lunedì con Prince, le Bangles e i Green Day

Le Bangles sono state uno dei più grandi fenomeni commerciali degli anni Ottanta. Una band tutta al femminile dal sound retrò che cercava di richiamare lo spirito degli anni Sessanta, lontano dal contemporaneo Rock da stadio. Un gradevole, allegro e a tratti nostalgico Pop-Rock radiofonico che raggiunse la vetta delle classifiche di tutto il mondo con le hit: “Manic Monday”, “Walk Like ad Egyptian” e “Eternal Flame”.

Il primo grande successo per le californiane Bangles arrivò nel 1986 con il singolo “Manic Monday” che fece il giro del mondo e si piazzò al secondo posto delle classifiche inglesi e statunitensi, ma non riuscì a spodestare la vetta saldamente occupata dalla famosissima “Kiss” di Prince.

The Bangles – “Manic Monday” (1986)


Ed era stato proprio il genio di Prince a dare una notevole spinta al successo delle Bangles: “Manic Monday” infatti è stata scritta e composta dallo stesso Prince (con lo pseudonimo “Christopher”), in origine per un altro gruppo femminile creato da lui nel 1980, le Apollonia 6.

Si racconta che Prince abbia scoperto le Bangles vedendo un loro videoclip su MTV, ne rimase molto colpito e si recò ad un loro concerto. Il gossip anni ’80 dice che Prince fosse un loro vero fan, che conoscesse le loro canzoni a memoria e che si fosse innamorato della leader del gruppo, Susanna Hoffs. Queste voci non furono mai confermate, ma di certo si sa che Prince regalò loro un demo con sue due canzoni indedite: “Jealous Girl” (scartata) e “Manic Monday”.

Apollonia 6 – “Manic Monday” (demo 1984)

Sono andata a prendere una cassetta. C’erano due canzoni, una era “Manic Monday” e l’altra si intitolava “Jealous Girl”. Dovrei cercare quella cassetta, so di averla ancora, è in una scatola da qualche parte. Nella demo la canzone era cantata da una ragazza. Penso che ci stesse regalando quel pezzo e avremmo dovuto cantarlo in quel modo, ma volevamo rifare tutto da zero

Susanna Hoffs, The Bangles

Che emozione deve essere stata per le Bangles incidere un pezzo scritto da una superstar! Susanna Hoffs in un’intervista racconta che mentre era in sala di registrazione ad incidere quella canzone l’emozione era così forte che si sentiva quasi come se avesse la febbre alta. «Sapevo che era una canzone dei Prince e volevo fare un ottimo lavoro. Quelle vibrazioni sono la migliore sensazione al mondo. Registrare crea molto stress psicologico: c’è tanta pressione perché c’è molto in gioco e vuoi essere sicuro di fare del tuo meglio, dato che deve essere catturato per sempre su nastro. (…) Prince è venuto alle nostre prove dopo che il disco era finito, ed era davvero elettrizzato per come era venuto. Penso che abbia detto qualcosa del tipo: “Oh, sono stato sorpreso che voi ragazzi non abbiate usato la mia traccia” o qualcosa del genere. Ma ne è stato molto contento».

Prince – “Manic Monday” (demo)


Una demo di “Manic Monday” cantata da Prince è stata recentemente pubblicato nel 2019 nell’album “Original” un album di 15 tracce con 14 registrazioni inedite che mettono luce sul ruolo vitale dietro le scene che Prince ha avuto nelle carriere di altri artisti. Oltre che grandissimo performer, cantante e musicista, a metà degli anni ’80 Prince dominava le classifiche anche come autore/produttore con le canzoni che aveva composto e registrato per molti altri artisti.

In tempi di quarantena e Coronavirus, “Manic Monday” è stata “riscoperta” da Billie Joe Armstrong, frontman dei Green Day. Un regalo ai fan di cui è stato realizzato anche un videoclip: rigorosamente dal divano di casa Billie Joe duetta a distanza proprio con Susanna Hoffs, scatenata dal suo salotto con la chitarra in spalla.

Billie Joe Armstrong of Green Day – “Manic Monday” (aprile 2020)
(Appearing Susanna Hoffs of The Bangles)
disCover

Verve vs Rolling Stones: Bitter Sweet “War”

Era il 1997 quando uscì il primo singolo del terzo album “Urban Hymns” di una band allora semi-sconosciuta: “Bitter Sweet Symphony” dei Verve. Sulla scia del Brit-Pop lanciato da Oasis e Blur, divenne una delle canzoni di maggior successo di quegli anni, grazie anche al memorabile videoclip in cui Richard Ashcroft, leader e cantante della band, cammina sul marciapiede all’incrocio tra Hoxton and Falkirk Streets nel nord di Londra.

Indifferente a tutto ciò che gli accade attorno, procede dritto e sicuro per la sua strada, senza mai spostarsi o fermarsi finendo per urtare chiunque incontri. Ashcroft ricorderà in un’intervista come il video fu ispirato da una raccomandazione che gli ripeteva spesso sua madre quando era piccolo: nella vita bisogna andare avanti sempre a testa alta e non fermarsi davanti a nulla.

The Verve – “Bitter Sweet Symphonie” (1997)


Il videoclip di “Bitter Sweet Symphony” prende anche ispirazione dal video di “Unfinished Sympathy” dei Massive Attack (1991) nel quale Shara Nelson passeggia in un quartiere di Los Angeles. Le curiosità sul brano che ha consacrato i Verve e Richard Ashcroft icona del Rock mondiale non sono finite qui.

Forse non tutti sanno che il famosissimo giro orchestrale, struttura portante dell’intero brano, non è originale, ma è stato campionato da una celebre canzone dei Rolling Stones, “The Last Time” (1965). Per la precisione da una particolare versione strumentale di questo brano pubblicata nell’album “The Rolling Stones Songbook” (1966): un progetto ideato dall’allora manager degli Stones che aveva fatto incidere i loro maggiori successi ad una orchestra creata ad hoc per l’occasione, la Andrew Loog Oldham Orchestra.

The Andrew Loog Oldham Orchestra – “The Last Time” (1966)


L’idea di utilizzare questo sample del brano dei Rolling Stones pare sia stata del bassista dei Verve, Martin Glover. Come in tutte le leggende Rock che si rispettino, sembra che Richard Ashcroft non volesse nemmeno inserire “Bitter Sweet Symphony” nel disco, non lo convinceva; fu solo quando Glover gli propose un arrangiamento con un’orchestra d’archi che cambiò idea.

Chiesero ed ottennero il permesso di usare poche note della versione orchestrale di “The Last Time” dei Rolling Stones e crearono il brano sulla base di quella struttura armonica enfatizzandone la solennità. Un’unione quasi paradossale se si analizza il testo della canzone che non ha nulla di trionfale, anzi è un triste inno esistenzialista: descrive il paradosso di un’esistenza votata al dio danaro e alla convinzione di dover lavorare per vivere.

Il primo verso di Bitter Sweet Symphony dice: “Sei schiavo dei soldi e poi muori”. Nessuno avrebbe detto che sarebbe diventata una hit.

Richard Ashcroft

Una “dolce e amara sinfonia” che ha scatenato una lunga serie di controversie giudiziarie. Dopo un iniziale accordo di utilizzo di quelle poche note del brano, pare per una divisione dei diritti al 50 e 50, Allen Klein il manager dei Rolling Stones (forse vedendo che il sample era diventato l’intera struttura musicale del brano o forse intuendone il successo) pretese il 100% dei diritti e gli autori della musica di “Bitter Sweet Symphony” risultarono Mick Jagger e Keith Richards. Ashcroft commentò sarcasticamente: “È la più bella canzone che Jagger e Richards hanno scritto negli ultimi 20 anni”.

Questo causò la perdita di una grande quantità di introiti per Richard Ashcroft e i Verve, “Bitter Sweet Symphony” in quegli anni incassò molto. Era sulla vetta delle principali classifiche, candidata a Grammy Awards e MTV Music Award, utilizzata come colonna sonora di molte pubblicità, programmi televisivi e film.


Richard Ashcroft decise di intraprendere le vie legali, un lungo percorso che si concluse solo nell’aprile del 2019 con la rinuncia di Jagger e Richards ai diritti sulla canzone e il passaggio di tutte le royalties ad Ashcroft.

È stato un gesto molto gentile e magnanimo da parte loro. Non ho mai avuto niente di personale con gli Stones. Sono sempre stati la più grande rock band del mondo. Ed è stata una conclusione fantastica. Ti fa guardare positivamente alla vita.

Richard Ashcroft
disCover

“La cura” di Battiato non è una canzone d’amore

“La cura” di Battiato non è una canzone d’amore. O almeno non lo è nel significato più semplice che diamo alla parola “amore” e che ci porta ad interpretarne il testo come una dedica di un innamorato alla persona amata.

Franco Battiato non ha mai dato un’esatta spiegazione del significato di questa canzone, ma ogni opera del Maestro e la sua intera carriera ha seguito un’evoluzione filosofica che è sempre stata alla base di ogni sua produzione artistica.

Scrivere di Battiato e cercare di spiegare il significato di un testo così importante non è impresa facile. Soprattutto perché la musica e la poesia, come tutte le arti, sono aperte all’interpretazione; personalmente credo sia impossibile pensare di riuscire a cogliere il più intimo significato di un’opera. Qualunque essa sia. Una canzone, ad esempio, può assumere per ciascuno di noi un particolare senso e significato ed è giusto che sia così; ma, purtroppo, non potremmo mai essere nella mente e nel cuore dell’artista che l’ha creata. Un problema che si traspone anche nella traduzione e nella parafrasi dei classici e che ho ritrovato espresso molto chiaramente in un saggio di estetica titolato “Traducibilità e intraducibilità della poesia” scritto dal Prof. Gianni Floriani – persona a me molto cara – (“Rivista di Estetica”, Anno III, Fascicolo I, gennaio-aprile 1958).

Questa doverosa premessa non toglie la possibilità di cercare di avvicinarsi e provare a dare una spiegazione ad una delle canzoni più belle della storia della musica italiana. “La cura” è stata pubblicata nel 1996 all’interno dell’album “L’imboscata” ed è stata scritta insieme a Manlio Sgalambro, filosofo ed intellettuale che per anni ha collaborato con Franco Battiato. Battiato ad una domanda di Luca Cozzari (“Battiato”, 2005, p. 19) a riguardo ha risposto: «io ho iniziato la prima parte e lui ha fatto la seconda» senza precisare quale sia la prima o la seconda.

Di certo sappiamo che Battiato non solo in molte canzoni, ma anche nelle sue opere contemporanee e nei film, lancia messaggi particolari per suscitare la curiosità e l’intelletto degli ascoltatori più sensibili:

In realtà sono certi consigli che possono essere utili a chi segue il mio lavoro e in qualche modo è interessato all’evoluzione spirituale. E, in questo senso, ci metto tutte le trappole del caso: se una persona non è ancora pronta a ricevere certi messaggi, non li può afferrare, perché c’è qualcuno che te li deve spiegare. La via spirituale è una via molto impegnativa, necessita di esperienza.

Franco Battiato (Video intervista su XL di Repubblica del 7 novembre 2012).

Sappiamo che Franco Battiato è molto vicino all’esoterismo e alle filosofie orientali, ha fatto parte per anni della scuola di Georges Ivanovič Gurdjieff per poi parzialmente discostarsene. Uno dei concetti base di questa scuola di pensiero è il “centro di gravità permanente”, il grado di coscienza di sé, teorizzando varie possibilità di perfezione. Per Gurdjieff infatti non tutti gli uomini hanno un’Anima: solo pochi eletti illuminati che hanno svolto un efficace lavoro su di sè possono arrivare a raggiungere il loro corpo astrale.

Sempre secondo Gurdjieff ci sono molte strade, più o meno lunghe, più o meno dure, ma tutte, senza eccezione, conducono o cercano di condurre in una stessa direzione: l’immortalità. L’immortalità non è una proprietà con la quale un uomo nasce, ma una proprietà che può essere acquisita.

Echi di queste filosofie le troviamo spesso in Battiato, ad esempio nella canzone “Sui giardini della preesistenza” (dall’album “Caffè de la Paix” del 1993) che lui stesso spiega come un riferimento alla nostalgia dello stato di unione con l’Uno (la preesistenza) in cui l’uomo si trovava prima della caduta nel mondo materiale:

Per chi “sa” di essere solo il riflesso di qualcosa di superiore, ed il risultato di un progetto cosmico da condurre a termine.

Franco Battiato (dal libro “Io chi sono?” di Daniele Bossari, 2009, p. 36)

Iniziamo ad avere degli elementi per una probabile interpretazione del testo de “La cura”. Una delle ipotesi più accreditate è infatti che si tratti di un dialogo a senso unico in cui è l’Anima, la parte spirituale, il corpo astrale, a parlare all’essere umano, la sua parte fisica, terrena e materiale.

Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie
Dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo
Dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai

L’uomo è soggetto a paure, turbamenti, ingiustizie, inganni, malattie, dolori, sbalzi d’umore, ma l’Anima per sua natura si eleva al di sopra delle disarmonie presenti nel piano materiale, si prende cura della sua parte mortale cercando di condurla a Sé.

Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza
Percorreremo assieme le vie che portano all’essenza

“Le vie che portano all’essenza” potrebbero essere un riferimento al percorso mistico che porta al risveglio, cioè a riscoprire il proprio io più profondo e congiungersi con l’Uno. È il lavoro che, con pazienza e meditazione, deve essere compiuto dall’uomo illuminato, raccontato da Battiato nel brano “E ti vengo a cercare” (dall’album “Fisiognomica” del 1988), anche questo, spesso, travisato e interpretato come una canzone d’amore: «No, non c’era nessuna donna. Cercavo di volare più alto» commentò Battiato a riguardo.

Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono
Supererò le correnti gravitazionali
Lo spazio e la luce per non farti invecchiare

Si può parlare di amore, ma di un Amore puro, ultraterreno, universale, inteso come energia che conduce l’uomo verso la parte spirituale che per sua natura è “oltre” il piano terreste dell’esistenza. L’Anima possiede la Conoscenza (le leggi del mondo) e la dona all’uomo illuminato; è capace di superare correnti gravitazionali, lo spazio e la luce, è al di là del concetto di tempo, è immortale.

Secondo le dottrine che hanno influenzato Franco Battiato, l’uomo è una sorta di angelo caduto in Terra dall’Eterno:

Siamo all’interno di un corpo di cui accettiamo tutte le schiavitù possibili, perché è sempre meglio dell’ignoto. Abbiamo paura perché non sappiamo dove si va a finire. Non è che forse abbiamo dimenticato le immense possibilità dell’Essere? (….) La guarigione dovrebbe essere la ricongiunzione definitiva con il Divino.

Franco Battiato (intervista con Stefania Vitulli, Il Giornale, 2007)

L’uomo illuminato attraverso un duro lavoro interiore anela al ricongiungimento con la sua parte spirituale, l’Uno da cui deriva. Un percorso che porta alla completa “guarigione” e che avviene dopo un lunghissimo ciclo di vite, ciò presuppone il credere nella reincarnazione. Se la via verso l’eternità e il ricongiungimento con il corpo astrale è la nostra “guarigione”, la “cura” passa inevitabilmente attraverso il superamento della morte.


Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie
Dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo
Dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai

Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore
Dalle ossessioni delle tue manie
Supererò le correnti gravitazionali
Lo spazio e la luce per non farti invecchiare

E guarirai da tutte le malattie
Perché sei un essere speciale
Ed io, avrò cura di te

Vagavo per i campi del Tennessee
Come vi ero arrivato, chissà
Non hai fiori bianchi per me?
Più veloci di aquile i miei sogni
Attraversano il mare

Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza
Percorreremo assieme le vie che portano all’essenza
I profumi d’amore inebrieranno i nostri corpi
La bonaccia d’agosto non calmerà i nostri sensi

Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto
Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono
Supererò le correnti gravitazionali
Lo spazio e la luce per non farti invecchiare

Ti salverò da ogni malinconia
Perché sei un essere speciale
Ed io avrò cura di te
Io sì, che avrò cura di te

disCover

Una cover che fa “Primavera”

Anche quest’anno la Primavera è arrivata, citando Neruda: “potranno tagliare tutti i fiori, ma non fermeranno mai la Primavera”. È la stagione della rinascita che ha ispirato tanti artisti, poeti e musicisti, da compositori classici come Antonio Vivaldi e Igor’ Stravinskij alle canzoni Pop di Loretta Goggi e Riccardo Cocciante. Oggi vi parlo di un successo di metà anni ’90, una canzone gioiosa e spensierata capace di raccontare tutto il senso di fresca libertà che ci regala la Primvera.

“Respiriamo l’aria e viviamo aspettando Primavera” semplice ritornello di un vero e proprio tormentone pubblicato nel 1997 dalla cantante romana Marina Rei. Figlia di Vincenzo Restuccia, batterista di Ennio Morricone, Marina Rei è una bellissima voce della scena musicale italiana. Iniziò la sua carriera nei primi anni ’90 con lo pseudonimo di Jamie Dee componendo alcuni dischi Dance, ma raggiunse il successo con il singolo “Primavera” secondo estratto dall’album “Donna” nel 1997.

Un successo che ogni anno ancora oggi torna nelle radio e che ha superato la prova del tempo, anche se in realtà è una cover del brano “You to Me Are Everything” pubblicato nel 1976 dallo sconosciuto gruppo inglese The Real Thing. All’uscita ebbe un moderato riscontro, ma tornò in classifica in una versione remixata nel 1986 ottenendo, stavolta, un enorme successo.

The Real Thing – ” You to Me Are Everything” (1976)


“Primavera” è stata un grandissimo successo, ad oggi il più grande successo commerciale di Marina Rei che le ha permesso di raggiungere la vetta delle classifiche e vincere il “Disco per l’estate” del 1997. Anche se forse non è il suo brano più rappresentativo.

Una menzione speciale va anche al videoclip ufficiale in cui compaiono gli attori Margherita Buy e Dario Cassini in una curiosa rivisitazione del film cult “Thelma & Louise” del 1991 diretto da Ridley Scott con Geena Davis e Susan Sarandon. Due amiche in fuga alla ricerca di libertà… e il finale, sarà come nel film?

Marina Rei – “Primavera” (1997)
disCover

Alta Marea: la cover di Venditti e il debutto di Angelina Jolie

Era il 1991 quando uscì l’album “Benvenuti in Paradiso” di Antonello Venditti, il suo più grande successo commerciale, ad oggi ancora il più venduto dell’intera discografia del cantautore romano. Il singolo di lancio e brano traino del successo del disco era la famosissima “Alta marea”.

Non c’è bisogno di ulteriori presentazioni, Venditti e “Alta marea” sono dei pilastri della canzone italiana. Forse però non è a tutti noto che “Alta marea” in realtà sia una cover. La voce di Antonello Venditti in “Autostrada deserta, alla confine del mare…” è così iconica che sembra assurdo pensare che la versione originale di questa canzone si intitola “Don’t dream it’s over” ed è un pezzo della band australiana Crowded House datato 1986.

Crowded House – “Don’t dream it’s over” (1986)


I Crowded House sono semi sconosciuti nel mondo, ma famosissimi in Australia. Hanno raggiunto la fama mondiale con il terzo singolo del loro primo omonimo album pubblicato nel 1986, la ballata pop “Don’t dream it’s over” scritta dal cantante Neil Finn. Resterà il loro unico grande successo internazionale e vincerà gli MTV Video Awards del 1987 nella categoria “Best new artist of the year”.

La versione di Antonello Venditti “Alta marea” mantiene la musica di Neil Finn e ne riscrive il testo. Venditti racconta un forte legame d’amore, il senso di dipendenza o appartenenza che si può provare e la forte paura di perdere la persona amata. Ennesimo successo di una carriera già consolidata, tra i capolavori della musica italiana, “Alta marea” spopola in radio e televisione anche grazie al videoclip girato da Stefano Salvati, regista di video musicali, spot, programmi tv con i pià grandi protagonisti della musica italiane e internazionale.

Girato a Los Angeles, il videoclip di “Alta marea” ha fatto storia: fu il debutto di una sconosciuta e sedicenne Angelina Jolie, scelta ad un casting tra oltre 200 ragazze, che in seguito diventerà una delle attrici più famose e ammirate al mondo.

Vista dal vivo era come tante altre, anzi era anche un po’ bassina (non arrivava al metro e 70), ma davanti alla cinepresa era favolosa! La scelsi per il ruolo da protagonista… si chiamava Angelina Jolie ed “Alta marea” era il suo primo lavoro.

Stefano Salvati
Antonello Venditti – “Alta marea” (1991)


Ultima curiosità: tra i musicisti che hanno collaborato al progetto del disco “Benvenuti in paradiso” figura anche l’attore Carlo Verdone nelle vesti di batterista e percussionista, e anche il maestro Demo Morselli alla tromba ed al flicorno.

musica

La musica non fa valentuomini, ma buffoni

Se vi dicessi che il Ministro dell’Istruzione ha dichiarato che la musica non va insegnata a scuola perché «non fa valentuomini, ma buffoni» mi credereste?

È tutto vero. Siamo nel 1865 e Francesco De Sanctis, Ministro dell’Istruzione nel 1861, consigliò al suo successore Giuseppe Natoli dalle colonne del giornale “L’Italia” di non insegnare alcune materie ritenute superflue e ne elencava alcune tra cui il Francese, la ginnastica e “il ballo” ad indicare con spregio la Musica.

Tutta questa roba, non bisogna, non si può digerire, non fa valentuomini, ma buffoni. Quello che i giovanetti debbono saper bene è la loro lingua, scriverla correttamente, esprimere i loro pensieri con ordine e semplicità; poi saper la storia e la geografia, l’aritmetica, la geometria e principi di algebra. […] Il neces­sario per i giovanetti non sono le cognizioni, ma l’acquistar l’abito di ragionare giusto, di fermarsi su le cose, di considerarle per ogni verso. Acquistato quest’abito, acquistato il giudizio, si vola poi sopra tutto il sapere, si comprende facilmente, si legano insieme le cognizioni che si vengono acquistando.

Il testo fu ripubblicato nel libro di Francesco De Sanctis “L’istruzione media. Omaggio alla casa editrice Laterza nel X Congresso della Federazione Nazionale fra gl’insegnanti delle Scuole Medie” (Laterza, 1919). Per De Sanctis, gli alunni non devono acquisire «le cognizioni, ma l’acquistar l’abito di ragionare giusto»: la musica e le discipline artistiche in generale, secondo il letterato, non si confanno a tale scopo. O meglio, leggendo per intero l’articolo, il senso del discorso di De Sanctis era che per voler insegnare troppo, si rischia di finire per non insegnare nulla.

Sono passati 155 anni, alcune materie si sono attivate, ma certi pregiudizi non sono molto cambiati. Fare il musicista non viene considerato come un mestiere, ma un hobby, un passatempo, un capriccio, una sorta di moderno giullare alla mercé delle corti televisive. La Musica non è arte: è un sottofondo sonoro delle nostre giornate, la colonna sonora di viaggi in auto, qualcosa da canticchiare sotto la doccia.

In realtà lo sappiamo che la Musica è importante, che è Cultura, che alcune canzoni dovrebbero addirittura essere insegnate a scuola, ma in fondo “sono solo canzonette” e non le prendiamo mai troppo sul serio. Forse la colpa è di alcuni buffoni che riempiono le pagine dei giornali e dei programmi televisivi che si nutrono di scandali e gossip, aumenta lo share e aumenta il fatturato.

Dovrebbe cambiare il modo di approcciarsi alla Musica cercando di capirla per il suo valore: da un ascolto passivo passare ad un ascolto attivo. Il significato della Musica non sta solo negli oggetti musicali, ma in ciò che la gente fa con la musica: come la sia ascolta, come la si suona e perché. Studiare la Musica non è solo studiare la storia delle opere e dei grandi nomi: è la storia degli uomini che hanno fatto, ascoltato e parlato di musica.

Parlare di musica è parlare della società di ieri e di oggi. Parlare di Musica è parlare di storia, di arte, di comunicazione, di evoluzione, rivoluzione, pensiero, progresso e scoperta. Ma anche di matematica, geometria, scienza, filosofia, psicologica, medicina… Ci si potrebbe basare un intero programma scolastico!

È un mondo che va scoperto cercando con curiosità di
ascoltare (audio)
osservare (video)
imparare (disco).

Puoi ascoltare questo articolo nella sua versione Podcast cliccando qui.