Browsing Tag

dischi

musica

Voyager Golden Record: la playlist che viaggia nello spazio

A miliardi di chilometri di distanza dalla Terra una speciale playslist si sta dirigendo verso nuovi ascoltatori.  Se una civiltà aliena incontrasse i veicoli spaziali Voyager 1 o Voyager 2 troverebbe al loro interno il Voyager Golden Record, un disco contenente – tra altre cose – la musica di Bach, Mozart, Beethoven, il gamelan indonesiano, i canti Navajo, “Johnny B. Goode” e molto altro…

La storia del Voyager Golden Record inizia il 20 agosto e il 5 settembre 1977 quando da Cape Canaveral furono lanciate due sonde spaziali per fotografare da vicino i pianeti esterni del nostro sistema solare (Giove, Saturno, Urano e Nettuno) e destinate in seguito a uscire dalla zona d’influenza del Sole e continuare il loro viaggio, forse per sempre. Ad oggi sono i primi oggetti costruiti dall’uomo ad aver superato i confini del nostro sistema solare ed essere entrati nello spazio interstellare.

Un progetto degli Stati Uniti d’America capitanato da Carl Sagan (divulgatore scientifico, scrittore di fantascienza e tra i più famosi astronomi, astrofisici, astrobiologi ed astrochimici del Novecento) a cui la Nasa affidò l’incarico di ideare un messaggio da consegnare ad una ipotetica civiltà aliena. Una specie di biglietto da visita che potesse raccontare l’Umanità e la vita sulla Terra.

Carl Sagan progettò il “Voyager Golder Record” un disco in rame placcato oro del diametro di 30 centimetri. Su un lato del disco sono disegnate in forma schematica le indicazioni sul contenuto e le istruzioni per estrarne le informazioni, da leggersi con l’apposita puntina che si può trovare a bordo della sonda. Sulla superficie è stata anche incisa questa frase:

“To the makers of music – all worlds, all times”

Il disco contiene 115 immagini che mostrano le più significative esperienze di vita umane e descrivono il nostro Pianeta e il Sistema Solare, tra cui la spirale del DNA, disegni anatomici, la foto di una donna al supermercato, una mamma che allatta, una famiglia che mangia… le potete vedere al sito ufficiale della Nasa cliccando qui. La sezione audio contiene invece una collezione di suoni naturali, come il rumore del vento, dei tuoni o i versi di alcuni animali; i saluti in 55 lingue diverse (l’italiano parte al minuto 1 e 54 secondi e dice “tanti auguri e saluti”); un messaggio del presidente Carter e del segretario generale delle Nazioni Unite dell’epoca, Kurt Waldheim e poi… 90 minuti di musica.

Questo è un regalo di un piccolo e distante pianeta, un frammento dei nostri suoni, della nostra scienza, delle nostre immagini, della nostra musica, dei nostri pensieri e sentimenti. Stiamo cercando di sopravvivere ai nostri tempi, così da poter vivere fino ai vostri.

Jimmy Carter, Presidente degli Stati Uniti d’America

La selezione musicale è alquanto bizzarra e curiosa: contiene una ideale rappresentazione di tutte le musiche del mondo. Vi riporto la lista dei 27 brani:

  1. Bach – Primo movimento, Concerto brandeburghese n. 2 in Fa
  2. “Puspawarna” (“Tipi di fiori”), gamelan dell’isola di Giava
  3. Percussioni senegalesi
  4. Canzone dell’iniziazione delle donne pigmee
  5. “Morning Star” e “Devil Bird”, canzoni degli aborigeni australiani
  6. Lorenzo Barcelata e i Mariachi Messicani – “El Cascabel” 
  7. Chuck Berry – “Johnny B. Goode”
  8. Canzone della casa dell’uomo, canto della Nuova Guinera
  9. Goro Yamaguchi – “Tsuru No Sugomori” (Giappone)
  10. Bach – “Gavotte en rondeaux” dalla Partita n. 3 in Mi maggiore per violino
  11. Mozart – Aria della Regina della Notte, da “Il flauto magico”
  12. “Tchakrulo,” coro dalla Georgia
  13. Daniel Alomìa Robles – “Condor Pasa”
  14. Louis Armstrong and his Hot Seven – “Melancholy Blues”
  15. “Mugam”, cornamusa dall’Azerbaigian
  16. Stravinsky – Danza sacrificale da “La sagra della Primavera”
  17. Bach – Preludio e fuga n. 1 in Do maggiore da “Il clavicembalo ben temperato, libro II”
  18. Beethoven – Sinfonia n. 5, Primo movimento Allegro con brio
  19. Valya Balkanska – “Izlel je Delyo Hagdutin” (Bulgaria)
  20. Canto notturno degli Indiani Navajo
  21. Holborne – “The Fairie Round” da Pavans, Galliards, Almains and Other Short Airs
  22. Musica dalle Isole Salomone
  23. Canto matrimoniale dal Perù
  24. Bo Ya – Liu Shui (“Flowing Streams”), Cina
  25. “Jaat Kahan Ho”, raga indiano
  26. Blind Willie Johnson – “Dark was the night, cold was the ground”
  27. Beethoven – Cavatina dal Quartetto n. 13 op. 130 in Si bemolle

Delle scelte che inevitabilmente hanno fatto discutere, ad esempio non è presente nessun compositore italiano. I contenuti del Voyager Golder Record sono stati facilmente criticati per dare messaggi confusi: i 55 saluti ascoltati così uno dopo l’altro posso dare l’idea di qualcosa di ingarbugliato (per alcuni potrebbe quasi sembrare una lite tra diverse persone), come quelle 115 immagini più disparate unite ai suoni della natura e ai versi degli animali.

Ciò che stupisce è la grande e vasta presenza della musica. Immagino il fortunato alieno di una galassia lontanissima alle prese con questo strano aggeggio: di sicuro penserebbe che la musica (o quantomeno quei 90 minuti di armoniose frequenze) abbia una grande importanza per questa lontana civiltà. E infatti non è forse così? Tra l’altro hanno scelto di inviare il nostro messaggio proprio su un disco!

La navicella potrà essere trovata e la registrazione visualizzata solo se esistono civiltà avanzate che viaggiano nello spazio interstellare. Ma il lancio di questa bottiglia nell’oceano cosmico è un messaggio di grande speranza circa la vita su questo pianeta.

Carl Sagan

È un messaggio forte, che nel bene o nel male, fa riflettere. Anche se dobbiamo inevitabilmente mettere in conto che il nostro alieno potrebbe non riuscire a decifrare il messaggio, oppure potrebbe non possedere il senso dell’udito o le onde sonore potrebbero non espandersi nella sua atmosfera. E anche se riuscisse ad ascoltarci, che idea potrebbe farsi di tutta questa diversa vastità sonora, musicale?

Qui non si tratta di scegliere i 10 dischi preferiti da potare su un’isola deserta, voi che playlist avreste fatto per il Voyager Golden Record?

Qui il contenuto audio del “Voyager Golden Record”.
Al minuto 21:44 inizia la sezione musicale



In occasione del 40esimo anniversario del lancio è stata pubblicata un’edizione speciale del Voyager Golden Record in 3 vinili e un libro dove viene presentata la sua storia. Lo potete acquistare cliccando qui.

Sul sito ufficiale della Nasa https://voyager.jpl.nasa.gov/ potete trovare tutte le informazioni sul viaggio delle due sonde spaziali Voyager, la descrizione dettagliata dei contenuti del Voyager Golden Record e la storia della sua realizzazione.

disCover

“La cura” di Battiato non è una canzone d’amore

“La cura” di Battiato non è una canzone d’amore. O almeno non lo è nel significato più semplice che diamo alla parola “amore” e che ci porta ad interpretarne il testo come una dedica di un innamorato alla persona amata.

Franco Battiato non ha mai dato un’esatta spiegazione del significato di questa canzone, ma ogni opera del Maestro e la sua intera carriera ha seguito un’evoluzione filosofica che è sempre stata alla base di ogni sua produzione artistica.

Scrivere di Battiato e cercare di spiegare il significato di un testo così importante non è impresa facile. Soprattutto perché la musica e la poesia, come tutte le arti, sono aperte all’interpretazione; personalmente credo sia impossibile pensare di riuscire a cogliere il più intimo significato di un’opera. Qualunque essa sia. Una canzone, ad esempio, può assumere per ciascuno di noi un particolare senso e significato ed è giusto che sia così; ma, purtroppo, non potremmo mai essere nella mente e nel cuore dell’artista che l’ha creata. Un problema che si traspone anche nella traduzione e nella parafrasi dei classici e che ho ritrovato espresso molto chiaramente in un saggio di estetica titolato “Traducibilità e intraducibilità della poesia” scritto dal Prof. Gianni Floriani – persona a me molto cara – (“Rivista di Estetica”, Anno III, Fascicolo I, gennaio-aprile 1958).

Questa doverosa premessa non toglie la possibilità di cercare di avvicinarsi e provare a dare una spiegazione ad una delle canzoni più belle della storia della musica italiana. “La cura” è stata pubblicata nel 1996 all’interno dell’album “L’imboscata” ed è stata scritta insieme a Manlio Sgalambro, filosofo ed intellettuale che per anni ha collaborato con Franco Battiato. Battiato ad una domanda di Luca Cozzari (“Battiato”, 2005, p. 19) a riguardo ha risposto: «io ho iniziato la prima parte e lui ha fatto la seconda» senza precisare quale sia la prima o la seconda.

Di certo sappiamo che Battiato non solo in molte canzoni, ma anche nelle sue opere contemporanee e nei film, lancia messaggi particolari per suscitare la curiosità e l’intelletto degli ascoltatori più sensibili:

In realtà sono certi consigli che possono essere utili a chi segue il mio lavoro e in qualche modo è interessato all’evoluzione spirituale. E, in questo senso, ci metto tutte le trappole del caso: se una persona non è ancora pronta a ricevere certi messaggi, non li può afferrare, perché c’è qualcuno che te li deve spiegare. La via spirituale è una via molto impegnativa, necessita di esperienza.

Franco Battiato (Video intervista su XL di Repubblica del 7 novembre 2012).

Sappiamo che Franco Battiato è molto vicino all’esoterismo e alle filosofie orientali, ha fatto parte per anni della scuola di Georges Ivanovič Gurdjieff per poi parzialmente discostarsene. Uno dei concetti base di questa scuola di pensiero è il “centro di gravità permanente”, il grado di coscienza di sé, teorizzando varie possibilità di perfezione. Per Gurdjieff infatti non tutti gli uomini hanno un’Anima: solo pochi eletti illuminati che hanno svolto un efficace lavoro su di sè possono arrivare a raggiungere il loro corpo astrale.

Sempre secondo Gurdjieff ci sono molte strade, più o meno lunghe, più o meno dure, ma tutte, senza eccezione, conducono o cercano di condurre in una stessa direzione: l’immortalità. L’immortalità non è una proprietà con la quale un uomo nasce, ma una proprietà che può essere acquisita.

Echi di queste filosofie le troviamo spesso in Battiato, ad esempio nella canzone “Sui giardini della preesistenza” (dall’album “Caffè de la Paix” del 1993) che lui stesso spiega come un riferimento alla nostalgia dello stato di unione con l’Uno (la preesistenza) in cui l’uomo si trovava prima della caduta nel mondo materiale:

Per chi “sa” di essere solo il riflesso di qualcosa di superiore, ed il risultato di un progetto cosmico da condurre a termine.

Franco Battiato (dal libro “Io chi sono?” di Daniele Bossari, 2009, p. 36)

Iniziamo ad avere degli elementi per una probabile interpretazione del testo de “La cura”. Una delle ipotesi più accreditate è infatti che si tratti di un dialogo a senso unico in cui è l’Anima, la parte spirituale, il corpo astrale, a parlare all’essere umano, la sua parte fisica, terrena e materiale.

Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie
Dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo
Dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai

L’uomo è soggetto a paure, turbamenti, ingiustizie, inganni, malattie, dolori, sbalzi d’umore, ma l’Anima per sua natura si eleva al di sopra delle disarmonie presenti nel piano materiale, si prende cura della sua parte mortale cercando di condurla a Sé.

Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza
Percorreremo assieme le vie che portano all’essenza

“Le vie che portano all’essenza” potrebbero essere un riferimento al percorso mistico che porta al risveglio, cioè a riscoprire il proprio io più profondo e congiungersi con l’Uno. È il lavoro che, con pazienza e meditazione, deve essere compiuto dall’uomo illuminato, raccontato da Battiato nel brano “E ti vengo a cercare” (dall’album “Fisiognomica” del 1988), anche questo, spesso, travisato e interpretato come una canzone d’amore: «No, non c’era nessuna donna. Cercavo di volare più alto» commentò Battiato a riguardo.

Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono
Supererò le correnti gravitazionali
Lo spazio e la luce per non farti invecchiare

Si può parlare di amore, ma di un Amore puro, ultraterreno, universale, inteso come energia che conduce l’uomo verso la parte spirituale che per sua natura è “oltre” il piano terreste dell’esistenza. L’Anima possiede la Conoscenza (le leggi del mondo) e la dona all’uomo illuminato; è capace di superare correnti gravitazionali, lo spazio e la luce, è al di là del concetto di tempo, è immortale.

Secondo le dottrine che hanno influenzato Franco Battiato, l’uomo è una sorta di angelo caduto in Terra dall’Eterno:

Siamo all’interno di un corpo di cui accettiamo tutte le schiavitù possibili, perché è sempre meglio dell’ignoto. Abbiamo paura perché non sappiamo dove si va a finire. Non è che forse abbiamo dimenticato le immense possibilità dell’Essere? (….) La guarigione dovrebbe essere la ricongiunzione definitiva con il Divino.

Franco Battiato (intervista con Stefania Vitulli, Il Giornale, 2007)

L’uomo illuminato attraverso un duro lavoro interiore anela al ricongiungimento con la sua parte spirituale, l’Uno da cui deriva. Un percorso che porta alla completa “guarigione” e che avviene dopo un lunghissimo ciclo di vite, ciò presuppone il credere nella reincarnazione. Se la via verso l’eternità e il ricongiungimento con il corpo astrale è la nostra “guarigione”, la “cura” passa inevitabilmente attraverso il superamento della morte.


Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie
Dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo
Dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai

Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore
Dalle ossessioni delle tue manie
Supererò le correnti gravitazionali
Lo spazio e la luce per non farti invecchiare

E guarirai da tutte le malattie
Perché sei un essere speciale
Ed io, avrò cura di te

Vagavo per i campi del Tennessee
Come vi ero arrivato, chissà
Non hai fiori bianchi per me?
Più veloci di aquile i miei sogni
Attraversano il mare

Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza
Percorreremo assieme le vie che portano all’essenza
I profumi d’amore inebrieranno i nostri corpi
La bonaccia d’agosto non calmerà i nostri sensi

Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto
Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono
Supererò le correnti gravitazionali
Lo spazio e la luce per non farti invecchiare

Ti salverò da ogni malinconia
Perché sei un essere speciale
Ed io avrò cura di te
Io sì, che avrò cura di te

disCover

“Se telefonando” e la sirena della polizia di Marsiglia

Come creare una canzone italiana di successo? Semplice: il testo lo scrive Maurizio Costanzo con Gigho De Chiara, della musica ci pensa Ennio Morricone e poi la canta Mina. Aggiungeteci giusto quel guizzo di genialità e d’ispirazione, che può arrivare anche da una banalissima sirena della polizia di Marsiglia, e così è nata nel 1966 “Se telefonando”.

La storia di “Se telefonando” è una leggenda che si rincorre da anni, di cui recentemente ha dato conferma Maurizio Costanzo in persona durante un’intervista radiofonica. Racconta Costanzo che il pezzo è nato come sigla del programma Rai “Aria condizionata” spin-off della famosa trasmissione “Studio Uno”. De Chiara aveva lavorato con Morricone ad uno spettacolo teatrale e provò a chiedergli se volesse scriverne la musica e Morricone accettò. Così un giorno Costanzo si trovò a casa di De Chiara a lavorare sul pezzo, mentre Morricone era collegato con loro telefonicamente e qui il colpo di genio:

Morricone al telefono interveniva e diceva “Pensate alla sirena della polizia di Marsiglia”. Io ebbi la fortuna di dire la parola “telefono”, sostenendo con De Chiara che il telefono stava andando di moda in quegli anni. Nacque “Se telefonando”.

Maurizio Costanzo

Per quanto assurdo possa sembrare, lo spunto creativo di questa canzone indimenticabile nasce dal suono della sirene della polizia di Marsiglia sui cui Morricone basa la ripetizione del tema principale. Poche, semplici, note per creare un capolavoro. Come sia possibile lo spiega bene Rocco Tanica degli Elio e le Storie Tese in quest’intervista, esempio al pianoforte incluso, in cui descrive “Se telefonando” come un miracolo fatto di quattro note:


“Se telefonando” è una canzone molto difficile da eseguire vocalmente. L’eleganza e la maestria nella scrittura hanno permesso a Morricone di scrivere una strofa sola a cui segue un ritornello che insegue se stesso quasi all’infinito: un continuo crescendo musicale che riprende perfettamente l’emozione raccontata dal testo.

Chi poteva trovarsi a suo agio in questo labirinto melodico e dare la voce ad una delle canzoni pilastro della musica italiana? Maurizio Costanzo racconta come con fortuna siano riusciti a contattare Mina: si trovarono lui, De Chiara, Morricone, Mina e il suo impresario nel centro di produzione Rai di Via Teulada a Roma; Morricone si mise al pianoforte e suonò “Se telefonando”, un attimo dopo Mina chiese il testo e con una naturalezza che Costanzo racconta lasciò tutti i presenti stupiti, la cantò.

Mina chiese solo di apportare una piccola modifica al testo che nella versione originale recitava “poi nel buio la tua mano, d’improvviso sulla mia”, il verso poteva risultare ambiguo e fu cambiato con “poi nel buio le tue mani, d’improvviso sulle mie”.

Nell’estate del 1966 “Se telefonando” era in tutti i juke-box italiani. Era l’anno dei mondiali di calcio, quelli di Inghilterra- Germania 4 a 2 dopo i supplementari e sotto l’ombrellone questa breve storia d’amore consumata in una notte d’estate mette d’accordo giovani e “matusa”.

Mina – “Se telefonando” (1966)


Divenne subito un successo pubblicato nel nono album di Mina “Studio Uno 66”, la raccolta delle canzoni scritte per la quarta edizione della trasmissione televisiva “Studio Uno”, programma di varietà condotto da Mina stessa. La storia di “Se telefonando” non finisce qui, ma diviene anche un videoclip, o meglio un video pubblicitario per il Carosello, l’MTV ante litteram di quei tempi.

Mina era testimonial per la Barilla e girò diversi spot diretti dal geniale Pietro Gherardi, architetto, scenografo e costumista di Federico Fellini, vincitore di due premi Oscar per i costumi di “8 e mezzo” e “La Dolce Vita”. Gherardi ambienta le pubblicità Barilla in luoghi strani, non consueti per degli spot televisivi e fa indossare a Mina abiti molto particolari e tassativamente neri.

Il video di “Se telefonando” è stato girato sui tetti della stazione ferroviaria di Napoli ancora in costruzione. Sono immagini senza tempo, Mina è bellissima e indossa un abito meraviglioso quasi un’opera di architettura che la avvolge con delle spire a ricordare i fili del telefono.

Sarebbe solo un carosello per la pubblicità della pasta Barilla che recitava “B come buona cucina, B come Barilla”, ma la bellezza è tale da rendere questo e gli altri video di Gherardi dei mini-capolavori di stampo felliniano. Documentano l’Italia anni ’60, gli anni della ricostruzione, del boom economico, gli anni in cui l’Italia faceva sognare il mondo con il cinema, la musica e ovviamente… la pasta!

L’Archivio Storico Barilla li raccoglie tutti e potete riguardarli cliccando qui.

disCover

Venus, una cover nella cover: da Oh Susanna alle Bananarama

«She’s got it, yeah baby she’s got it. I’m your Venus, I’m your fire, at your desire» impossibile resistere a questo ritornello, si inizia a battere il tempo e il gioco è fatto! È “Venus” delle Bananarama, il trio femminile britannico composto da Sara Dallin, Siobhan Fahey e Keren Woodward, che nel 1986 ha scalato le classifiche di tutto il mondo con questa super hit Pop-Rock Dance.

Un successo tutto Europeo, prima che Inglese, Olandese: “Venus” è una canzone originariamente scritta e interpretata nel 1969 dal gruppo olandese Shocking Blue. Già all’epoca un grandissimo successo tanto da raggiungere la posizione numero 1 della Billboard Hot 100 il 7 febbraio 1970.

Shocking Blue – “Venus” (1969)


Scritta da Robbie Van Leeuwen, chitarrista degli Shocking Blue, come omaggio a Venere, la dea dell’amore, contiene un enorme errore nel testo, passato alla storia. Il primo verso nelle sue intenzioni doveva significare “La divinità sulla cima della montagna” ma tradusse “divinità” non con la parola “goddess” ma con “godness. Un errore di cui non si è accorto nessuno, nemmeno la cantante Mariska Veres che in sala di registrazione l’ha cantata così. Le versioni successive sono state corrette, ma la prima incisione ufficiale salita in vetta alle classifiche inizia con un grande refuso. (Mi consolo, i refusi sono sempre tremendamente in agguato!)

I colpi di scena sono appena iniziati. “Venus” non è tutta farina del sacco di Robbie Van Leeuwen che si è “ispirato” ad una canzone pubblicata nel 1963 dai Big 3, un trio (era destino) Folk americano di cui faceva parte anche Cass Elliot prima di entrare nei The Mama & The Papas. Si intitolava “The Banjo Song” e musicalmente è molto simile a “Venus”, il testo invece è preso dal famosissimo standard Folk “Oh Susanna”. Ascoltarla oggi risulta come un mash-up stranissimo:

Big 3 – “The Banjo Song” (1963)


Ispirazioni, plagi, citazioni, cover… i confini sono molto labili, ne ho già parlato prendendo come esempio i Led Zeppelin che sono stati accusati e citati per plagio molte volte. Agli Shocking Blue non è successo, anche se c’è un’altra “ispirazione” nella loro “Venus”: il riff iniziale di chitarra somiglia a quello di “Pinball Wizard” degli Who, uno dei brani più celebri della loro opera rock “Tommy”.

“Venus” ha venduto tantissimo ed è stato il singolo di maggior successo delle Bananarama che hanno dovuto lottare con diversi produttori per convincerli a farlo incidere. Le tre cantanti erano certe del potenziale di questo pezzo in versione Dance, ma incontrarono la resistenza dei loro produttori e si rivolsero ad un altro trio: Stock, Aitken & Waterman tre maghi della Dance anni ’80 che da pochissimo avevano portato al successo “You Spin Me Round (Like a Record)” dei Dead or Alive.

Bananarama – “Venus” (1986)


“Venus” fu pubblicato nel loro terzo album “True Confession” e il singolo fu accompagnato da un videoclip lanciato da una massiccia programmazione da parte di MTV in tutto il mondo. Le tre Bananarama cambiano più volte costume e ambientazione: divinità greche, vampire, sacerdotesse, arrivando persino a ricreare la scena de “La nascita di Venere” di Botticelli. Iconico anche il balletto, ideato dal coreografo italiano Bruno Tonioli.

Un successo quasi senza tempo che negli anni è stato reinterpretato da molti artisti, è stato utilizzato come colonna sonora di diversi film, show televisivi e pubblicità. “Venus” l’ha rifatta anche Mina! È una traccia del suo album “Sì, buana” uscito proprio nel 1986. Una Mina in versione decisamente Rock, assolo di chitarra distorta incluso. Pazzesca e inaspettata, ascoltate:

Mina – “Venus” (1986)


“Venus” non è stato il solo brano degli Shocking Blue ad aver raggiunto il successo molti anni dopo grazie ad una famosissima cover. Proprio nell’album “At Home” del 1969 c’era anche “Love Buzz” famosa per essere diventata nel 1988 il singolo di debutto dei Nirvana, gli Shocking Blue erano uno dei gruppi preferiti del bassista Krist Novoselic.

Il singolo “Love Buzz” dei Nirvana conteneva anche il brano “Big Cheese”. Inizialmente furono messe in commercio soltanto 1000 copie numerate del 45 giri, realizzate in vinile nero. In seguito, cominciarono a circolare anche dei bootleg riprodotti su vinile colorato. Entrambe le canzoni faranno poi parte di “Bleach”, album con cui il gruppo di Seattle esordì nel 1989.

Shocking Blue – “Love Buzz” (1969)
Nirvana – “Love Buzz” (1988)

musica

Disco d’oro: numeri e inganni (?) di un premio in declino

collezione di dischi d'oro

Ormai da un significativo periodo di tempo non si sente più parlare di “tot” copie vendute di un disco, ma il vanto principale degli artisti è screenshottare il traguardo dei primi posti sulle varie piattaforme d’ascolto streaming (es. Spotify) o di vendita (es. Itunes). Oppure postare un bel selfie accanto al quadro con il disco d’oro, di platino, doppio platino e via dicendo. Per vincere il Disco d’Oro, o ancor meglio di Platino, sicuramente saranno tantissime le copie vendute, la conferma di un gran successo di vendite. O almeno così viene percepito dal pubblico. Lo sapete quante copie vendute servono per ottenere un disco d’oro in Italia? 25.000.

Venticinquemila copie vendute e in Italia (60,48 milioni di abitanti nel 2017) un disco è decretato dalla FIMI (Federazione Industria Italiana Musicale) un successo. Solo 25.000 copie.

Sconfortante, soprattutto se pensiamo che in origine questo premio è nato nel 1942 in America per riconoscere il successo senza precedenti del 78 giri di Glenn Miller “I Know Why/Chattanooga Choo Choo” che in 90 giorni vendette 1 milione di copie. Il premio si diffuse poi in tutto il mondo diventando l’attestato ufficiale del successo di un disco, insieme al Disco di Platino per i 10 milioni di copie vendute e il Disco d’Argento per 500.000.

In America è tutto più grande e non si possono paragonare i due mercati? Guardiamo alla nostra Italia: il primo Disco d’Oro se lo aggiudicò Natalino Otto con “Non dimenticar (che t’ho voluto bene)” nel 1952; nel 1957 Marino Marini vinse il premio con “Guaglione”, che vendette un milione di copie solo in Francia; Bobby Solo con “Una lacrima sul viso” ne vinse due (per 2 milioni di dischi venduti). Mentre il primo 33 giri ad ottenere il disco d’oro in Italia fu Franco Battiato con “La voce del padrone” nel 1981. (E solo tra parentesi per onore di cronaca “Nel blu dipinto di blu” (1958): ha venduto 22 milioni di dischi e si è aggiudicato il doppio platino, ma è un successo planetario in questo caso fuori contesto.)

Quindi, brevemente: un tempo 1 milione di copie, oggi 25.000.

Sconfortante.

Le soglie di vendita sono state ribassate negli anni, complice il cambiamento di mercati e anche il bisogno di adeguarsi alle vendite online e ascolti in streaming. In Italia gli ultimi grandi adeguamenti sono avvenuti da gennaio 2018 con l’inserimento nel conteggio anche degli ascolti in streaming. Come funziona? Dal 2010 FIMI, in collaborazione con GfK che rileva le vendite dei prodotti fisici e delle singole tracce online, ufficializza le certificazioni di vendita di ogni singola registrazione musicale pubblicata e venduta in Italia.

Oggi per lo streaming sono presi in considerazione solo gli ascolti derivati da servizi premium (effettuati da abbonati paganti), gli ascolti da un profilo free (effettuati da utenti non paganti) non vengono conteggiati.

Ad esempio, per il calcolo delle vendite di un singolo in digitale si è deciso che 130 streaming equivalgono ad 1 download digitale per minimo di 30 secondi di ascolto (quindi 130 ascolti di 30 secondi di un brano fanno 1 vendita).  Per gli album il conteggio è più complesso, qui le note metodologiche di FIMI dal 2018.

Queste le soglie di certificazione attualmente in uso per la certificazione Album, Compilation e Singoli Online del FIMI che potete trovare nel sito ufficiale cliccando qui.

  • ORO oltre le 25.000
  • PLATINO oltre le 50.000
  • DOPPIO PLATINO oltre le 100.000
  • TRIPLO PLATINO oltre le 150.000
  • QUADRUPLO PLATINO oltre le 200.000
  • 5 PLATINO oltre le 250.000
  • DIAMANTE oltre le 500.000


Ogni Paese ha le sue regole (negli USA il Disco d’Oro oggi si raggiunge a quota 500.000 copie vendute) e la quantità minima di copie vendute dipende da diversi fattori come il territorio, abitanti e altri parametri. Inoltre, per alcuni si riferisce alle copie distribuite e vendute ai negozi (quindi non necessariamente acquistate dall’utente finale) altri invece considerano le copie effettivamente acquistate dai singoli utenti.

Non voglio entrare nella polemica di come un ascolto di 30 secondi in streaming possa essere paragonato ad un vero interesse, neanche a quanto e come possano essere “taroccati” questi dati. Penso a quando uscì il primo disco dei Beatles: il manager Brian Epstein ne fece comprare copie in vari negozi, sollecitandoli a presumere un interesse del pubblico che ancora non c’era. Scrive Philip Norman nella biografia di John Lennon che Epstein ordinò 10 mila copie di “Love Me Do”, ossia dieci volte più del quantitativo che avrebbe mai potuto vendere nel proprio negozio, pur di garantire l’ingresso del brano nella classifica dei 20 dischi più venduti. Gli altri negozi riordinarono, il resto lo sappiamo.


Forse un tempo era più facile imbrogliare le classifiche. Però è recentissimo lo scandalo seguito alla pubblicazione dell’ultimo album di Fedez “Paranoia Airlines” (25 gennaio 2019). In tantissimi utenti hanno fatto notare su Twitter delle strane attività sui loro profili Spotify: hanno segnalato di essersi ritrovati nella propria cronologia decine di ascolti dei brani di Fedez, senza che questi brani fossero stati effettivamente mai ascoltati oppure: “Ogni canzone che seleziono si interrompe per far partire l’album di Fedez”. E ancora: “È Spotify che non funziona o capita solo a me che ti obblighi ad ascoltare Fedez?”. “A me questa mattina qualsiasi canzone cliccassi dopo 3 sec in automatico mi partiva il disco di Fedez!”. Fedez e Spotify hanno rassicurato la regolarità del servizio smentendo ogni accusa. Certo che è stato qualcosa di quantomeno bizzarro!

Penso che tutto ciò sia un esempio di come poco ci si informi su quanto e cosa c’è dietro alla Musica, di come le belle capture markettare e un disco placcato d’oro in una bella cornice possano bastare a far credere di aver raggiunto alte vette di successo, di quanto poco venda la musica oggi.

musica

#ilDiscoDelMercoledì compie 1 anno

Oggi spegne la prima candelina la rubrica #ilDiscoDelMercoledì che tengo da 1 anno sul canale Instagram. Ogni settimana il mercoledì pomeriggio ascolto un album, raccontando qualche curiosità e cercando di scoprire il perché della sua importanza all’interno dell’immenso universo musicale.

Il criterio di scelta è semplice: “quello che oggi ho voglia di ascoltare” e lo condivido con voi. La rubrica pian piano è cresciuta e ne approfitto per ringraziare chi mi segue ogni settimana da mesi e mesi! Per chi fosse curioso, tutti i 52 dischi passati sono salvati nelle storie in evidenza del profilo Instagram e ve li riporto in lista qui sotto.

Da oggi inizia un nuovo anno con il disco numero 53. Vi aspetto!

  1. Red Hot Chili Peppers “Blood Sugar Sex Magik” (1991)
  2. Pearl Jem “Ten” (1992)
  3. Judas Priest “Sad Wings of Destiny” (1976)
  4. The Smashing Pumpkins “Mellon Collie and the Infinite Sadness” (1995)
  5. Offspring “Smash” (1994)
  6. U2 “The Unforgettable Fire” (1984)
  7. ZZ Top “Eliminator” (1983)
  8. AC/DC “Back in Black” (1980)
  9. Alice Cooper “Hey Stoopid” (1991)
  10. Bluvertigo “Metallo non metallo” (1997)
  11. NOFX “So long and thanks for all the shoes” (1997)
  12. Uriah Heep “Salisbury” (1971)
  13. Prince “Sign o’ the Times” (1987)
  14. Franco Battiato “La voce del padrone” (1981)
  15. Sex Pistols “Never Mind the Bollocks” (1977)
  16. Guns n’ Roses “Use Your Illusion II” (1991)
  17. Metallica “Metallica” (1991)
  18. Area “Crac!” (1975)
  19. Joe Satriani “Surfing with the Alien” (1987)
  20. Motörhead “Ace of Spades” (1980)
  21. Nirvana “Unplugged in New York” (1994)
  22. Led Zeppelin “Houses of the Holy” (1973)
  23. The Jimi Hendrix Experience “Electric Ladyland” (1968)
  24. Jaco Pastorius “Jaco Pastorius” (1976)
  25. Bon Jovi “These Days” (1995)
  26. Ramones “Rocket to Russia” (1997)
  27. Gamma Ray “Somewhere out in Space” (1997)
  28. Anthrax “Among the living” (1986)
  29. Van Halen “Van Halen” (1978)
  30. Black Sabbath “Black Sabbath” (1970)
  31. Angra “Holy Land” (1996)
  32. Alice in Chains “Facelift” (1990)
  33. Ska-P “¡¡Que corra la voz!!” (2002)
  34. Punkreas “Paranoia e potere” (1995)
  35. Michael Jackson “Thriller” (1982)
  36. Madonna “Ray of Light” (1998)
  37. Blur “The Great Escape” (1995)
  38. Oasis “(What’s the story) Morning Glory?” (1995)
  39. Britney Spears “…Baby one more time” (1998)
  40. Festivalbar compilation (1993)
  41. Extreme “Extreme II – Pornograffitti” (1990)
  42. Judas Priest “Painkiller” (1990)
  43. Helloween “Keeper of the Seven Keys – Part II” (1988)
  44. Skid Row “Slave to the Grind” (1991)
  45. Rage Against the Machine “Rage Against the Machine” (1992)
  46. Rush “2112” (1976)
  47. U2 “October” (1981)
  48. Scorpions “Love at First Sting” (1984)
  49. Bryan Adams “18 til I die” (1996)
  50. Litfiba “Terremoto” (1993)
  51. Kiss “Destroyer” (1976)
  52. Led Zeppelin “Led Zeppelin I” (1969)
Immagine correlata

disCover

Tutti conoscono i Led Zeppelin, ma chi conosce Jake Holmes?


“I bravi artisti copiano, i grandi artisti rubano” diceva Picasso. Capita spesso sentir parlare di plagi, citazioni, omaggi, ispirazioni. C’è una sottile differenza che si gioca tutta sul filo di un rasoio sottilissimo.

Oggi la rubrica #disCover è in bilico su quel filo, tra una cover e una semplice ispirazione. Un posto abbastanza scomodo in cui i Led Zeppelin si sono trovati spesso: le cause di plagio a loro attribuite sono diverse e cominciano subito all’inizio della loro carriera con alcuni brani del loro primo album, il leggendario “Led Zeppelin I”.

Tra le varie dispute sui plagi in “Led Zeppelin I” (Rolling Stone li accusò di aver copiato “Black Mountain Side” da “Black Water Side” di Bert Jansch e il giro di “Your Time Is Gonna Come” dall’album dei Traffic “Dear Mr. Fantasy”) ci fu chi notò subito che “Dazed and Confused” era basata sull’omonimo brano di Jake Holmes, un poco conosciuto cantante folk.

È uno dei brani fondamentali del disco e racchiude tutta la filosofia dei Led Zeppelin. Un Rock Blues quasi Psichedelico, capace di strizzare l’occhio anche al Folk bianco delle origini. Un discorso cominciato da Yardbirds, Jimi Hendrix e Cream: portare avanti l’evoluzione del Blues in diverse direzioni attitudinali e ritmiche verso Hard Rock e Heavy Metal.

La storia di “Dazed and Confused” inizia nell’agosto 1976 proprio durante un concerto del tour americano degli Yardbirds, di cui al tempo faceva parte anche Page. Ad aprire il loro concerto al Village Theater del Greenwich Village a New York c’era Jake Holmes che suonò “Dazed and Confused”, già pubblicata nel suo album di debutto “The Above Ground Sound” nel giugno 1967.

Eravamo in scaletta con gli Yardbirds. Abbiamo suonato e abbiamo spaccato con quella canzone, è stato lì che Jimmy Page l’ha ascoltata. Da quello che ho ricostruito dagli Yardbirds, Page ha mandato qualcuno a prendere il mio album. Ha fatto un ottimo lavoro, ma sicuramente mi ha fregato.

Jake Holmes nel documentario “Lost Rockers”

Page rimase evidentemente molto colpito, ispirato, da quella canzone e ne fece subito una sua versione intitolata “I’m confused” che portò live con gli Yardbirds in diverse occasioni. Una versione che si distingue dall’originale per l’alternanza tra lunghe divagazioni strumentali e dinamiche riprese del tema principale.

Yardbirds – “I’m confused” (live in 1968)

Quando gli Yardbirds si sciolsero, nel 1968, Jimmy Page modificò ulteriormente il testo e la struttura del pezzo, lo intitolò “Dazed and Confused” e fu pubblicato nell’album di debutto dei Led Zeppelin il 12 gennaio 1969. Il brano è reso celebre dalle incursioni psichedeliche dall’assolo di chitarra suonata con l’archetto di violino, una lunga e furiosa sezione strumentale che dal vivo poteva durare anche più di mezzora.

La versione dei Led Zeppelin non è stata attribuita a Jake Holmes, in quanto Page ha ritenuto di aver modificato e stravolto a tal punto il brano da non incorrere ad accuse di plagio. Quando il disco uscì Holmes non intraprese nessuna azione legale, pare però che abbia spedito ai Led una lettera in cui diceva: «Capisco, è un tentativo di collaborazione, ma penso che dovreste almeno ammettere che sono l’autore e pagarmi i diritti».  

La lettera non ricevette risposta e la discussione finì lì, salvo riprendere a sorpresa molti anni dopo. Alla fine, Jake Holmes ha intentato causa ai Led Zeppelin e Jimmy Page nel 2010 per violazione dei diritti di copyright. La causa finì con un accordo tra i due e il caso fu archiviato il 17 gennaio 2012 e il live dei Led Zeppelin “Celebration Day” del 2012 accredita la canzone a “Jimmy Page, inspired by Jake Holmes”.

Ispirazione o plagio? Giudicate voi:

Jake Holmes – “Dazed and Confused”
Led Zeppelin – “Dazed And Confused” (live 1969)
disCover

Girls Just Want to Have Fun


Perché una canzone diventa famosa? Su questo sono stati scritti “Fiumi di parole” passando da astute operazioni di marketing fino alla teoria secondo cui moltissimi brani Pop di successo sono strutturati sugli stessi 4 accordi, come cerca di dimostrare questa divertente gag degli Axis of Awsome:

Axis of Awesome – “4 Four Chord Song”


Come succede spesso nella vita, è fondamentale essere la persona giusta al posto giusto nel momento giusto. La storia della musica è costellata di canzoni che hanno raggiunto il successo molti anni dopo la loro prima pubblicazione, ad esempio ci sono i casi in cui le cover sono diventate molto più popolari dell’originale: successi internazionali che hanno lanciato carriere o creato le famose “meteore”.

Può dipendere dalla qualità del riarrangiamento, da maggiori risorse per un lancio discografico di grande impatto, dalla bravura dell’interprete, da un momento storico più azzeccato… Nella quasi totalità dei casi però il nome dell’autore originale e dell’artista che per primo ha lanciato il pezzo viene omesso, non detto, e per logica conseguenza la paternità va a chi l’ha portata al successo. (Questo a livello di comunicazione pubblicitaria / massmediatica, ovviamente nei credits gli autori vengono correttamente riconosciuti, ma sono informazioni che nessuno legge).

A volte scoprirlo è quasi uno shock, c’è il rischio che crollino dei miti perché certi pezzi sono legati indissolubilmente ad un artista. Ad esempio, “Girls Just Want to Have Fun” è Cyndi Lauper: quando si pensa a lei si pensa immediatamente a quella canzone e viceversa. È iconica, mitica, simbolo di un’epoca, un inno del femminismo.

Eppure, non è di Cyndi Lauper e non è nemmeno stata scritta per lei. Anzi, a scriverla è stata un uomo!

Robert HazardGirls Just Want to Have Fun


“Girls Just Want to Have Fun” è stata composta e registrata per la prima volta nel 1979 dal cantautore e musicista americano Robert Hazard. La versione originale raccontava il punto di vista di un uomo che si sentiva molto fortunato nel trovare “ragazze che si vogliono solo divertire”.

Quel demo finì nelle mani della Lauper e del suo produttore, David Wolff, mentre stavano realizzando il suo album d’esordio She’s so unusual (1983). Cambiarono qualche dettaglio del testo, sufficiente a stravolgerne il significato e darne una prospettiva femminile: le ragazze non sono diverse dai ragazzi e anche a loro piace uscire, divertirsi e fare nuove esperienze. “Girls Just Want to Have Fun” divenne così un inno al divertimento e un manifesto femminista che metteva in luce la parità di diritti tra uomini e donne in una prospettiva più leggera e scanzonata.

Cyndi Lauper “Girls Just Want to Have Fun”


Pubblicata il 6 settembre 1983 come singolo di lancio dell’album, divenne subito un successo mondale e l’iconico videoclip fu trasmesso in heavy rotation da MTV. Una produzione costata relativamente poco, tra i 30.000 e i 35.000 dollari, grazie all’ingaggio gratuito di parenti e amici che si prestarono ad interpretare i vari personaggi: la mamma di Cyndi, nel ruolo di sé stessa, mentre il padre è il wrestler “Captain” Lou Albano; ci sono anche il fratello, il manager e alcune segretarie.

La trama è semplice: Cyndi in barba ai suoi genitori organizza una festa nella sua cameretta chiamando tutti i suoi amici, una folla scatenata e divertita che vuol rappresentare ogni contesto razziale e classe sociale.

Nel libro “I Want My MTV” la Lauper ha spiegato:

Volevo che “Girls Just Want to Have Fun” fosse un inno per le donne di tutto il mondo – intendo proprio tutte le donne – e un messaggio che sostiene che siamo esseri umani potenti. Volevo essere sicura che ogni donna guardando il video si sentisse rappresentata, sia che fosse magra o robusta, affascinante o meno, e di qualunque razza fosse.

Cyndi Lauper

Il video diventerà un vero e proprio cult, uno dei simboli degli anni ’80 e vincerà il premio come Best Female Video agli MTV Video Music Award del 1984. Il singolo scalerà le classifiche di tutto il mondo piazzandosi nella Top 10 di 25 paesi, raggiungendo la prima posizione in 10, mentre in America si piazzerà al secondo posto della Billboard Hot 100 per due settimane dietro a “Jump” dei Van Halen.

Un successo senza tempo che ha lanciato l’artista femminile più originale dei primi anni ’80 e che però ha congelato l’immagine della Lauper in una ragazzina bizzarra dal look eccentrico. Anche se sarà poi seguito dal secondo famosissimo singolo estratto dall’album: “Time After Time”.