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Tutto è musica, anche il rumore. Basta metterci una cornice?

A meno che non viviate tra le stelle (beati voi!) sicuramente non potete non essere stati colpiti dalla recentissima polemica relativa all’ultima opera d’arte di Maurizio Cattelan (con l’accento sulla a, è padovano): la banana appiccicata al muro con del nastro adesivo. Un polverone mediatico che mi ha fatto tornare alla mente un passo dell’autobiografia di Frank Zappa dal titolo “La cornice”:

«Nell’arte la cosa più importante è la cornice. Nella pittura è letteralmente così, per le altre arti solo in senso figurato, perché senza quell’umile oggetto non è possibile capire dove finisca L’Arte e dove inizi Il Mondo Vero. È necessario metterci un contenitore attorno o altrimenti si direbbe: che cos’è quella merda sul muro?

Se John Cage per esempio dicesse: “Ora metto un microfono a contatto con la gola, poi berrò succo di carota e questa sarà la mia composizione”, ecco che i suoi gargarismi verrebbero qualificati come una sua composizione, perché ha applicato una cornice, dichiarandola come tale. “Prende o lasciare, ora Voglio che questa sia musica”.»

“I’m famous, but most people don’t even know what I do” Frank Zappa

Quindi che cos’è Musica? Come per le altre arti, basta che qualcuno la definisca tale e lo diventa? È una delle grandi questioni che hanno animato le discussioni artistiche da inizio Novecento, si sono scritte intere biblioteche e ci sono interessantissime opinioni di musicologi, sociologi, etnomusicologi, filosofi… Frank Zappa però mi ha ricordato John Cage. Vi parlo di “rumore”: può essere Musica?

Ultimamente si fa un gran parlare della nuova figura dei Sound Designer o Sound Artist: artisti sonori che trasformano i rumori prodotti da oggetti e i suoni dalla vita di ogni giorno in musica. Ascoltano, registrano, campionano e danno voce e musicalità a ciò che comunemente è percepito come rumore.


Viene percepito e raccontato come qualcosa di molto innovativo. Si può arrivare alla sonorizzazione della stazione di Torino Porta Susa, alla creazione di paesaggi sonori campionando i suoni delle macchine del caffè, ad installazioni artistiche che portano la pioggia all’interno di un museo. Qualcosa di futuristico.

Oggi, il Rumore trionfa e domina sovrano sulla sensibilità degli uomini. Questa evoluzione della musica è parallela al moltiplicarsi delle macchine, che collaborano dovunque coll’uomo. Non soltanto nelle atmosfere fragorose delle grandi città, ma anche nelle campagne, che furono fino a ieri normalmente silenziose, la macchina ha creato oggi tanta varietà e concorrenza di rumori che il suono puro, nella sua esiguità e monotonia, non suscita più emozione”

Questo è qualcosa di Futuristico! Eppure risale all’11 marzo 1913: è un estratto da “L’arte dei rumori”, uno dei Manifesti del Futurismo scritto da Luigi Russolo che potete leggere per intero cliccando qui. Russolo dà il via al processo di emancipazione del suono e del rumore dalla musica tradizionale e la sua trasformazione in musica, anche se qualche accenno si può ritrovare nella musica classica di fine Ottocento, come i famosi campanacci da mucca nella Sinfonia n. 7 di Mahler.

La visionarietà di Luigi Russolo ha portato alla teorizzazione del “suono-rumore”, delle sei famiglie di rumori dell’orchestra futurista, fino alla creazione degli “intonarumori”.
Il rumore inizia ad essere considerato come suono musicale: concetto che si è espresso in tutta la sua portata rivoluzionaria negli anni Cinquanta, anche grazie alle nascita delle nuove tecnologie come sintetizzatori e registratori.

Cosa sia considerabile come musicale e cosa no dipende dal concetto soggettivo di Musica. In potenza a nulla dell’esistente è preclusa la possibilità di diventare musicale.

Tra gli artisti che più hanno studiato e affrontato queste tematiche spicca John Cage che nel suo testo “Il futuro della musica: il mio credo” (1937) scrive: «Ovunque ci troviamo, quello che sentiamo è in gran parte rumore. Quando lo ignoriamo ci disturba. Quando gli prestiamo ascolto, lo troviamo affascinante (…) Noi vogliamo catturare e controllare questi rumori, usarli non come effetti sonori bensì come strumenti musicali.»

Una chiara ripresa dei concetti espressi da Russolo che porterà Cage a concepire potenzialmente tutto come musica: i suoni del mondo erano musica, anche il battito del cuore poteva essere musica. Cage trovava musicale anche il suono della trafficatissima Avenue of the Americas, la Sesta Strada di New York. Sirene, clacson, lo stridore dei freni, il ritornello dell’autobus che passava con regolarità: “Ma la sente questa musica?” chiedeva.

John Cage è stato un “compositore ed esecutore di musiche avveniristiche” (così lo definì “La Stampa” nel 1959) arrivò ad esempio a comporre opere con cactus secchi raccolti nel deserto (“Child of Tree” del 1975 e “Branches” del 1976) in cui gli strumenti di ogni performer includono uno o più cactus amplificati, insieme ad altri oggetti di origine vegetale o animale.


Nel 1956 John Cage partecipò come esperto di funghi al telequiz “Lascia o raddoppia?” condotto da Mike Bongiorno e vinse 5 milioni di lire. Durante lo spettacolo si esibì in un concerto chiamato “Water Walk” in cui gli strumenti erano: una vasca da bagno, un innaffiatoio, una pentola a vapore, cinque radio, un pianoforte, cubetti di ghiaccio, una pentola a vapore e un vaso di fiori.

Surreale il dialogo tra John Cage e Mike Bongiorno:
B: Bravo bravissimo! Beh, il signor Cage ci ha dimostrato che indubbiamente se ne intendeva di funghi… quindi non è solo un personaggio venuto su questo palcoscenico per fare strambe esibizioni di musica strambissima.
C: Un ringraziamento a… funghi, alla Rai e a tutti genti d’Italia.
B: Arrivederci: torna in America o resta qui?
C: Mia musica resta.
B: Ah, lei va via e la sua musica resta qui: ma era meglio che la sua musica andasse via e che lei restasse qui!

Cage replico la performance “Water Walk” in un famoso programma televisivo americano nel 1960 davanti ad un pubblico tra lo sconvolto e il divertito (potete vederla cliccando qui). Così commentò la critica musicale Laura Paolini:

Arte alta e bassa cominciavano a sentirsi più a proprio agio l’una con l’altra. Tutti videro qualcosa mai visto prima. Tutti si fecero un’opinione. Così si forma un pubblico.

Laura Paolini

La ricerca di John Cage non è solo questo: arriva a concepire la musica aleatoria e a studiare il silenzio, come assenza di rumori e al contempo creatore di musica. Molti altri musicisti e studiosi portarono avanti le ricerche di sperimentazione musicale e non posso non citarvi Brian Eno e i suoi famosi quattro album “Ambient” dal primo “Music for Airports” (1978) al quarto “On land” (1982) una “miscela” di note di sintetizzatore, suoni naturali/animali, alcuni anche ricavati da pezzi di catene, bastoni e pietre.


Theodor W. Adorno conclude la sua “Introduzione alla sociologia della musica” con la frase: «Ma più essenziale che stabilire l’origine dell’uno o dell’altro fatto è il contenuto: come cioè la società appare nella musica, come essa può essere decifrata dal suo contesto».

A nulla di ciò che esiste può essere preclusa la possibilità di diventare una determinante musicale: oggi si può dubitare che l’Universo intero sia un’armonia, ma potenzialmente è musicabile.

Puoi ascoltare questo articolo nella sua versione Podcast cliccando qui.

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Musica, comunicazione e linguaggio

La Musica è un mezzo di comunicazione?

Comunicare deriva dal Latino communicare a sua volta derivazione di communis (comune, che appartiene a tutti). La Treccani scrive: “rendere comune, far conoscere, far sapere; per lo più di cose non materiali. Per estens. dire qualcosa, confidare. Quindi anche divulgare, rendere noto ai più”.

Comunicare prevede un’interazione linguistica fra soggetti, grazie alla quale si raggiunge la condivisione di un sapere o di una volontà. È uno scambio reciproco di informazioni tra due o più persone. Come funziona? Il più noto modello di comunicazione è quello teorizzato dal linguista strutturalista Roman Jakobson che ne individua sei componenti fondamentali:

  • MITTENTE: il soggetto che invia una comunicazione ad un destinatario
  • MESSAGGIO: l’oggetto dello scambio comunicativo
  • DESTINATARIO: colui che riceve il messaggio
  • CODICE: il linguaggio attraverso cui viene formato il messaggio che deve essere condiviso da mittente e destinatario
  • CANALE: la connessione tra mittente e destinatario che consente al messaggio di essere comunicato
  • CONTESTO: le circostanze in cui la comunicazione avviene

Il mittente invia un messaggio al destinatario. Per essere operante, il messaggio richiede in primo luogo il riferimento a un contesto che possa essere afferrato dal destinatario, e che sia verbale o suscettibile di verbalizzazione; in secondo luogo esige un codice interamente, o almeno parzialmente, comune al mittente e al destinatario. Infine, un contatto, una connessione fra il mittente e il destinatario, che consenta loro di stabilire e di mantenere la comunicazione.

Per semplificare la spiegazione, si può pensare ad uno scambio di lettere: il mittente “codifica” un messaggio attraverso un codice e al punto di arrivo il destinatario, attraverso lo stesso codice, lo “decodifica” e ricostruisce nella sua mente quello che il mittente ha voluto comunicargli.

Per la Musica come funziona?

Nella Musica il mittente è l’autore? Però la Musica non esisterebbe se non ci fosse l’esecutore, e spesso autore ed esecutore sono due figure distinte. Anche il destinatario è indefinibile in ambito musicale, perché la Musica appartiene a tutti, chiunque la può ascoltare (ricevere) e in modi molto diversi, basta pensare alla sovraesposizione a cui siamo sottoposti nella nostra società attuale.

E il codice? Qual è? È condiviso da mittente e destinatario? Qui si gioca la differenza tra il professionista, il musicista e tutte le possibili differenze di approccio all’ascolto musicale di cui parlavo citando Adorno. Senza contare le civiltà diverse dalla nostra Occidentale di cui non condividiamo i codici musicali. Anche il messaggio è di difficile definizione: se è presente un testo lo si può cercare lì; se si tratta di musica strumentale la situazione è più complessa, anche se possono esserci degli espedienti che rinviano a messaggi universali come un ritmo incalzante, un andamento lento, i differenti timbri degli strumenti etc…

La comunicazione però si realizza solo nel caso in cui vi sia piena condivisione del codice da parte di emittente e ricevente che deve preesistere alla comune esperienza comunicativa. Su questa base come si può parlare di comunicazione musicale? Soprattutto in un’epoca come la nostra dove la musica assume un ruolo di semplice trasmettitore unidirezionale di informazioni, ricevibili a prescindere dalla loro intelligibilità.

Oggi siamo quasi dei soggetti involontari sottoposti ad un sovradimensionamento dell’ascolto a cui spesso è impossibile sottrarsi.  

Questo inibisce la nostra sensibilità musicale che viviamo come un’attitudine latente (nei bambini sorgono esperienze musicali prima della linguistica): la si possiede, ma non si sa di possederla. Possiamo riconoscere e cantare una canzone senza avere nessuna nozione della natura strutturale e compositiva del pezzo.

L’ascoltatore è liberato da possedere competenze musicali, dal condividere un codice (per tornare al modello della comunicazione di Jakobson), e quando ascolta attiva un “processo soggettivo” che vede la musica come un centro neutro, manipolabile.

Questi concetti si rifanno alle teorie, discusse, del musicologo francese Jean-Jacques Nattiez autore di numerosi saggi nell’ambito della musicologia, dell’analisi e della semiologia musicale tra cui “Fondements d’une sémiologie de la musique” (1975) in cui ha applicato i modelli della linguistica strutturale all’analisi musicale utilizzando il modello della “tripartizione semiologica” già elaborato dal semiologo Jean Molino.

È un modello più pertinente per la comunicazione musicale anche se contrasta con quello di Jakobson: il creatore dell’opera (mittente) e l’ascoltatore (ricevente) attivano entrambi un processo di comprensione nei confronti del messaggio che quindi può influenzarne il significato.

Il mittente nell’atto della creazione attiva un “processo poietico” che coinvolge esecutore, compositore e preesiste all’opera stessa. Il ricevente durante l’ascolto attua un “processo estesico” attivo di ricostruzione cosciente o meno cosciente che influenzerà l’oggetto musicale. Il ricevente qui ha un ruolo attivo e indipendente dal mittente nel decifrare il messaggio del compositore (e può riuscirci o meno).

In mezzo ai due processi si pone a livello neutro l’oggetto musicale, l’opera, che può essere analizzata e consumata in totale libertà. Questo va contro le regole della comunicazione secondo cui la condivisione del codice è fondamentale. Anche se non dobbiamo dimenticare che quando parliamo di Musica siamo costretti ad usare un altro mezzo di comunicazione per spiegarla ovvero, come dice Nattiez, creiamo delle sovrastrutture che con la Musica non hanno nulla a che vedere.

La Musica è un sistema simbolico che non rimanda direttamente a oggetti, esperienze e concetti specifici, ma è comunque un insieme di codici dotato di regole, convenzioni, facoltà espressive, funzioni sociali e libertà creativa che variano ed evolvono secondo l’epoca e il luogo.

Alla luce di tutte queste riflessioni chiudo con una domanda: la Musica è un linguaggio universale?

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L’uomo ha bisogno della musica?

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La risposta è sì. E ve la argomento prendendo spunto da un libro illuminante, non di semplice lettura, ma che vi consiglio caldamente: “La mente musicale” di John A. Sloboda. Si tratta di psicologia cognitiva applicata alla musica che suona complicato e forse poco attraente, ma se dicessi che risponde a domande come: perché la musica è un’espressione così diffusa in tante culture diverse? Perché è capace di suscitare emozioni così profonde?

Il motivo più semplice per cui la maggior parte delle persone ascolta una musica è perché suscita emozioni. Può provocare gioia, rabbia, sollievo, appagamento, puro godimento estetico… Per dirla con le parole di Sloboda: la Musica ha la capacità di elevare il livello della nostra vita emotiva. Ci riesce perché:

La mente umana attribuisce ai suoni un significato per cui la Musica diventa un simbolo per qualcosa che va al di là del puro suono.

John Sloboda

Certo, la Musica non è fondamentale per la vita pratica dell’uomo: la sua assenza non causa un danno alla salute, come ad esempio accade per la mancanza di sonno. Non si tratta nemmeno di restare senza cibo o senza acqua, ma fa parte di quelle attività vitali, non per il singolo, ma per la specie. Sapete che non esistono culture senza musica?

La cultura moderna ha esagerato nell’alimentare il bisogno quasi fisico della Musica che oggi ritroviamo ovunque e dovunque, tanto che ormai il termine “inquinamento musicale” non è una novità. È agli albori, nelle culture primitive che ritroviamo l’essenza del suo valore sul piano della sopravvivenza: le canzoni, i discorsi e le poesie organizzate ritmicamente sono il mezzo di trasmissione più importante delle culture non alfabetizzate. Grazie alla Musica le persone possono esprimersi ed esprimere le loro conoscenze e tessere relazioni sociali.

Oggi la società è cambiata e abbiamo ben altri supporti mnemonici e mezzi di coesione sociale, l’evoluzione non ha aiutato a prendere consapevolezza dell’importanza della Musica razionalmente ed è diventata una presenza “naturale”. È quindi importante ricordare che i nostri istinti per la Musica sono radicati nell’infanzia dell’umanità: le forme musicali che erano disponibili tra gli uomini primitivi (tramite l’uso della voce e del corpo) esercitano un’influenza primaria inevitabile.

La musica è una risorsa umana fondamentale, che ha giocato, e probabilmente continuerà a giocare, un ruolo vitale per la sopravvivenza e lo sviluppo dell’umanità.

John Sloboda

La Musica è un importante sussidio mnemonico per gli esseri umani; può servire per un’ampia gamma di esperienze trascendenti ed estetiche; essere semplice godimento o potente mezzo di coesione sociale.

Conclude Sloboda: «Con tutti i risultati che ha ottenuto, la nostra società occidentale ha comunque in sé un notevole livello di precarietà. È sin troppo facile costruire degli scenari che comprendono la distruzione dei delicati equilibri che conservano le nostre strutture sociali, così complesse.

In tali situazioni, quelli tra di noi che saranno sopravvissuti si troveranno in una società nella quale gli artefatti di quella nostra saranno in larga misura scomparsi. Ancora una volta, saranno soprattutto le risorse che saremo stati in grado di portarci con noi, nelle nostre teste, a formare la base principale dei nostri tentativi per sopravvivere. Le canzoni e le poesie diventerebbero degli strumenti vitali per la memoria collettiva e per la coesione sociale, per costruire una società nuova, e le abilità musicali diventerebbero degli strumenti di sopravvivenza».

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Musica, alieni e viaggi nello spazio-tempo


Non è più solo fantascienza, aveva ragione Interstellar: i viaggi nello spazio-tempo sono possibili. Ma non sto parlando di wormhole e altri complicati esperimenti da laboratorio, è tutto molto più semplice e lo facciamo sempre da sempre, senza accorgercene. La Musica è una macchina del tempo! È uno dei suoi superpoteri o una delle sue magie.

Le prime note di una melodia posso portarci all’istante in un luogo lontano nel tempo e nello spazio. Può succedere, ad esempio, di ascoltare distrattamente qualcosa alla radio e ritrovarsi all’improvviso ad una festa dei tempi del liceo, a ridere con un vecchio amico, a vivere un amore. Cambiano i colori, i vestiti, i profumi… siamo altrove. Quando la musica finisce e ci ritroviamo qui e ora, non può essere passato solo il tempo di quella canzone, abbiamo la sensazione di aver vissuto più di quei 3 minuti d’orologio. Abbiamo viaggiato nel tempo? Cos’è successo?

Una risposta affascinante e suggestiva l’ho trovata in questo dialogo tra Stefano Bollani e Igor Sibaldi, si parlava di alieni e di che effetto farebbe la musica ad un extra-terrestre in visita sulla Terra.

Dialoghi tra Alieni con Stefano Bollani, Mauro Biglino, Anne Givaudan, Igor Sibaldi


Dice Sibaldi: «Penso che un alieno sarebbe molto colpito da come la musica modifica la percezione del tempo. Probabilmente il mio alieno ideale avrebbe una percezione del tempo migliore della nostra. Noi abbiamo un’idea del tempo molto discreta, molto suddivisa, e pensiamo che esista un altro tempo, l’eternità, che è solo un assurdo prolungamento del nostro tempo in cui l’orologio andrà avanti per sempre… una noia tremenda!

Invece “eternità” da sempre è un “non tempo” in cui entriamo ogni volta che sentiamo una musica che ci piace moltissimo, anche una canzone. Noi sentiamo una canzone che dura 2 minuti e 28 secondi, quando è finita e vediamo che è durata 2 minuti e 28 secondi questa informazione non ci dice niente. Non era “2 minuti e 28 secondi”, era un altro tempo che invece di procedere sulla linea retta, si allargava.

Immagino che l’alieno, il mio alieno ideale, direbbe: “Ah, guarda! Hanno capito anche loro che esistono altri tempi. Che c’è anche un tempo che si allarga e si contrae. Bravi uomini che se ne sono accorti!».

È davvero solo una suggestione?

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Che cos’è la musica?

Che cos’è la Musica? Una risposta potrebbe essere… 42!
Proprio come nel libro “Guida galattica per autostoppisti” di Douglas Adams, dove l’unico modo per rispondere alla “domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto” è attraverso il surreale, il nonsense, il paradosso.

“Questa è sicuramente la risposta. Ad essere sinceri, penso che il problema sia che voi non abbiate mai saputo veramente qual è la domanda.”

Uno sberleffo di trascendenza che va oltre la domanda con ironia, l’unica possibile risposta ad una domanda che “una” risposta non la può avere.

Musicologica è un punto di partenza dopo sette milioni e mezzo di “pensieri profondi”. Amo la musica da sempre. Mi ha affascinato per il suo essere impalpabile, invisibile, eppure così presente come ossigeno nell’aria da non poterne fare a meno. Perché? Lo dovevo capire. E così dopo aver divorato dischi e riviste ho cercato la risposta nella dotta Università di Padova, prima con la laurea triennale in Discipline dell’Arte della Musica e dello Spettacolo e poi con la specialistica in Musicologia e Beni Musicali.
Alla prima lezione del primo corso è stato presentato uno dei testi d’esame: “Che cos’è la musica?” di Carl Dahlaus e Hans Heinrich Eggebrecht. Ero nel posto giusto! Il primo passo verso un mondo che racchiude infiniti universi al suo interno. Uno dei miei libri preferiti.

Che cos’è la Musica? La classica risposta è “la colonna sonora della vita” e poi ossigeno, condivisione, divertimento, svago, compagna di viaggio… Per alcuni la Musica è un lavoro, per altri un linguaggio per costruire nuovi mondi, molti invece a questa domanda non hanno mai pensato.

Una definizione in senso stretto non esiste, perché non esiste “la” musica. È un concetto che anche solo storicamente nella tradizione culturale occidentale è cambiato spesso dall’antichità ai giorni nostri. Pitagora associava la musica a rapporti numerici in cui si manifestava l’armonia dell’universo, per Sant’Agostino era una “scientia bene mondulandi” mentre all’inizio dell’età moderna la pratica musicale rimandava alla sfera delle emozioni; passando per il razionalismo del Settecento e l’irrazionalismo Romantico si arriva alla concezione moderna di linguaggio che dà forma a pensieri musicali.

“La musica non dovrebbe essere solo un idromassaggio per il corpo, uno psicogramma sonoro, un percorso mentale in suoni, ma soprattutto flusso diventato suono della ipercosciente elettricità cosmica”

Karlheinz Stockhausen

Ecco il perché di Musicologica (musica + logica) per cercare di incuriosire, porre le giuste domande e andare alla scoperta della Musica nella sua essenza. Parlare di musica è parlare della società di oggi, del suo rapporto imprescindibile con il pubblico e della loro evoluzione nella storia. Parlare di Musica è parlare di arte, di comunicazione, di evoluzione, rivoluzione, pensiero, progresso. È un mondo che va scoperto cercando con curiosità di ascoltare, osservare, imparare: audio, video, disco.

“Parlare di musica è come ballare di architettura” diceva Frank Zappa.
E allora si dia inizio alle danze!