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E se Spotify costasse 15 euro all’ora?

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Se Spotify costasse 15 euro l’ora… sarebbe una follia! È qualcosa di impensabile, anche ragionando per assurde ipotesi. Chi mai pagherebbe questa cifra per un’ora di musica? Oggi Spotify con un abbonamento di 9,90 euro al mese dà accesso illimitato a quasi tutta la musica esistente. Massima resa, minima spesa.

Chi pagherebbe 15 euro per 1 ora di musica?

Ad esempio, qualche giorno fa è stato pubblicato l’ultimo album degli Helloween (nota band Power Metal di Amburgo attiva dal 1983, un genere di nicchia e non così commerciale). Il disco lo si può ascoltare in tutte le piattaforme di streaming, volendo anche gratis ed in maniera totalmente legale, in cambio di un po’ di pubblicità ogni tanto. Per i più nostalgici o i collezionisti si può acquistare in formato fisico al costo di 16,99 euro per la versione base.

PRIMA DELLO STREAMING: LA PREISTORIA

Una volta c’erano i CD (e prima ancora le musicassette e prima ancora i vinili) e costavano. Costavano anche tanto. Ad esempio, una ristampa del primo CD degli Helloween “Walls of Jericho” (pubblicato nel 1987) nel 1998 veniva venduta a 38.900 lire.

Per ascoltare un CD, più o meno 45 minuti di musica, bisognava recarsi in un negozio di dischi e pagarlo. Era un altro mondo, un’altra era.

Poi tutto è cambiato e oggi la musica si ascolta gratis, ovunque, facilmente e legalmente. Senza dover mettere mano al portafoglio, rompere il porcellino dei risparmi e dover scegliere dolorosamente quale disco comprare e quale no. Ecco l’importanza che aveva allora leggere pagine e pagine di recensioni, seguire i programmi preferiti alla radio o nella giurassica MTV per cercare di compiere la scelta giusta.

Una volta la musica costava, circa 15 euro l’ora.

Per avere musica gratis c’erano poche soluzioni. La modalità legale: riuscire a farsi prestare il cd/musicassetta/vinile da un amico; la modalità illegale: duplicare il cd/musicassetta/vinile dell’amico; la modalità paziente e parzialmente illegale: ascoltare ore di radio in attesa che venisse trasmessa la canzone desiderata e registrarla. L’upgrade poi fu registrare i videoclip trasmessi da MTV (YouTube era ancora più in là della fantascienza allora). E poi arrivò Napster e il mondo cambiò per sempre.

È PIÙ IMPORTANTE ASCOLTARE CHE ACQUISTARE

Oggi siamo abituati ad avere tutta la musica del mondo gratis (o a 9,99 euro al mese) e non si torna indietro. È una conquista, una ricchezza senza pari poter ascoltare in qualsiasi momento qualsiasi cosa desideriamo. Ascoltiamo molta più musica, tantissima, senza doverci preoccupare delle nostre finanze. Anche solo per curiosità: per essere sicuri che proprio non è di nostro gradimento oppure, al contrario, scoprendo artisti su cui mai avremmo investito dei soldi per comprare un loro disco.

Una lunga evoluzione che ha portato l’atto di ascoltare musica ad essere più importante dell’atto di acquistare musica. Un futuro che sembra riportare la musica alla sua primitiva essenza: un tempo lontanissimo in cui non esistevano mezzi di riproduzione e la musica si poteva ascoltare soltanto nell’istante in cui veniva suonata; esisteva nel momento in cui veniva creata.

Gli effetti di questa rivoluzione sono stati a lungo studiati sotto il profilo sociologico e culturale. Hanno portato ad un allargamento esponenziale del pubblico, all’industrializzazione del consumo, all’omologazione del gusto e i generi musicali sono diventati espressioni di marketing e indicatori di target.

I numeri che contano oggi sono quelli delle visualizzazioni ottenute. Da diverso tempo non si sente più parlare di “tot” copie vendute di un disco, ma il vanto principale degli artisti è screenshottare il traguardo dei primi posti sulle varie piattaforme d’ascolto. Numeri da capogiro che però non rispecchiano i guadagni ottenuti dai musicisti, che sono in realtà molto bassi.

Nemmeno questa è una novità. Da quando l’ascolto è diventato un atto più importante dell’acquisto l’intero mercato si è impoverito. Non tanto i grandi nomi internazionali, che comunque hanno dovuto adeguarsi a questo cambiamento, ma musicisti ed etichette con poche centinaia di migliaia di fan che un tempo guadagnavano dalla vendita dei dischi. “Lo dicono i numeri: lo streaming funziona solo per l’1% degli artisti” titolava Rolling Stones qualche mese fa in un articolo in cui racconta come oggi i Big si spartiscono quasi tutta la torta, mentre il 99% di band e cantanti annaspa e non riesce ad emergere.

LA MUSICA È COME L’OSSIGENO

Ascoltare musica oggi è uno svago, uno svago che ormai si pretende sia gratuito. È scontato poter ascoltare in qualsiasi momento quello che si vuole e senza pagare.

La musica è come l’ossigeno: è ovunque, è gratis e non ne possiamo fare a meno. Come l’ossigeno anche la musica è diventata invisibile (ne ho parlato qui: La musica è diventata invisibile), ma riusciamo ancora a comprenderne davvero il suo valore?


Leggi anche:
Lo streaming musicale? Esisteva già nel 1906
Disco d’oro: numeri e inganni (?) di un premio in declino

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2 Comments

  • Reply
    paolo
    4 Luglio 2021 at 08:08

    Un approfondimento delicato. Di quelli che non ci sono quasi mai e di cui abbiamo tanto bisogno

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