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Il mito della Musica nella Grecia antica

La storia della Musica del mondo occidentale ha il suo inizio nella Grecia antica, un percorso documentato da numerose fonti letterarie e teoriche che sono state alla base del nostro sistema musicale moderno.

Il termine “musica” deriva dal greco “mousiké” che significa “l’arte delle muse” ciò che è “riguardante/pertinente alle Muse”, le deità che presiedevano alle diverse arti nel mondo classico. Un significato che quindi non si riferiva alla sola arte dei suoni, ma si allargava ad una nozione più ampia che abbracciava anche altre arti come, ad esempio, la poesia e la danza.

Le Muse erano nove: Clio, Euterpe, Talia, Melopnene, Tersicora, Erato, Polimnia, Urania e Calliope. Erano invocate dai poeti come dee ispiratrici del loro canto e come dee del canto erano collegate con Apollo, dio della musica, dell’arte e della lira. Esiodo nella sua opera “Teogonia” racconta che ogni Musa tutelava un’arte e tutte avevano a che fare con la Musica, in altre parole tutte le arti erano collegato con un elemento musicale. La musica aveva a che fare con la danza, la tragedia, la commedia, la poesia…

Baldassarre Peruzzi, la danza di Apollo con le Muse
Baldassarre Peruzzi “La danza di Apollo con le Muse” (1514 – 1523 ca)


La Musica anche se arte indipendente era a servizio di altri modi di espressione. La musica “pura” rappresentava solo uno dei casi possibili, mentre più spesso era parte di qualcosa di composito che investe linguaggi e funzioni parallele.

Una curiosità: seguendo l’evoluzione della mitologia relativa alle Muse nel periodo della Grecia arcaica, a Delfi c’è testimonianza di sole tre muse, i cui nomi corrispondevano alle tre corde della lira: Nete, Mese, Hypate.

Due importanti divinità collegate alla musica sono Apollo e Dioniso, due opposti.

Ad Apollo era demandata la possibilità di guidare le muse (per questo il dio viene spesso indicato con l’epiteto “musagete”). Apollo, dio della divinazione e della poesia, con la musica aveva un legame diretto e rappresentava i principi della chiarezza e dell’aristocratica eleganza. Dioniso invece era la parte irrazionale, l’abbandono alla fisicità, l’aspetto della musica che suscita nell’animo le passioni invece di placarle. Due opposti, l’apollineo e il dionisiaco, che nella storia della musica si pongono spesso in rapporto o ad una esclusività estrema.

“Danzatori” nella Tomba del Triclinio, Museo Nazionale di Tarquinia

Un altro elemento della mitologia greca che offre un’interessante riflessione è la nascita delle Muse, figlie di Zeus e Mnemosyne; quindi la divinità suprema dell’Olimpo (Zeus) insieme a colei che presiede alla memoria (Mnemosyne). La centralità della memoria è fondamentale per il mondo classico e l’uso della memoria è sempre stato centrale nella musica. 

La trasmissione delle melodie nel mondo greco rimase sempre in prevalenza affidata all’ascolto e alla memoria. Motivo per cui, a differenza delle numerose fonti di teoria musicale che sono giunte fino a noi, i testi con notazione musicale sono pochissimi, di epoca piuttosto tarda e di difficile interpretazione.

La musica era presente in quasi tutte le cerimonie pubbliche, private, civili, religiose. Non era solo un’arte, ma una parte importante nella formazione culturale e nella vita individuale e sociale dei greci. Per filosofi come Platone e Aritstotele la musica aveva un ruolo di primo piano nell’educazione dei giovani, e Pitagora la accostò alla sfera della matematica e al movimento degli astri.


Altri articoli a riguardo:
Pitagora: la musica, la matematica e l’armonia delle sfere.
La funzione educativa ed etica della musica.

Per un approfondimento:
“Musica e mito nella Grecia antica” a cura di D. Restani, Bologna, Il Mulino, 1995.

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Perché il 21 giugno è la Festa della Musica?

Ormai c’è una giornata dedicata a festeggiare pressoché qualsiasi cosa: si va dalla Festa della donna, della mamma, del papà, alla Giornata mondiale per la Pace (1 Gennaio), delle torte (23 Gennaio), della carbonara (6 Aprile). Oggi (19 Giugno) è il Garfield Day, ma anche il Martini Day. Se volete scoprirle tutte cliccate qui: daysoftheyear.com

Non poteva mancare una giornata dedicata alla Festa della Musica che si celebra il 21 Giugno, il giorno del solstizio d’estate. Un grande evento internazionale che si ripete regolarmente da 40 anni, una delle più importanti feste a valore culturale che sia mai stata istituita.

Tutto iniziò nell’ottobre del 1981 in Francia. L’allora Ministro della Cultura Jack Lang nominò Maurice Fleuret direttore della musica e della danza. Fleuret presentò una nota dove sosteneva che la nuova politica musicale del Paese avrebbe dovuto tenere conto di un dato rilevante: 5 milioni di francesi, di cui un giovane su due, suonavano uno strumento musicale, mentre le manifestazioni musicali organizzate fino ad allora riguardavano solo una minoranza della popolazione.

Fête de la musique au Palais Royal, à Paris, le 21 juin 1982 ...

Fleuret propose una rivoluzione nel contesto della musica, che mirava a fare incontrare tutti i tipi di musica, senza gerarchie e distinzioni: “una liberazione sonora, un’ebbrezza, una vertigine tra le più autentiche, le più intime, le più eloquenti dell’arte”.

Da queste considerazioni e riflessioni il 21 giugno 1982 venne organizzata la prima Festa della Musica (la “Fête de la Musique”), un fenomeno culturale senza precedenti che non aveva niente in comune con i Festival di musica usuali: una festa della musica nazionale, popolare, gratuita e aperta a tutti i generi musicali. Musicisti dilettanti e professionisti invasero strade, cortili, piazze, giardini, stazioni, musei. La festa di tutte le musiche e di tutti i musicisti.

Il giorno scelto è simbolico: il 21 giugno cade il solstizio d’estate, il più lungo giorno dell’anno, ma anche giorno legato a molte tradizioni pagane e ancestrali.

Dilettante o professionista, ognuno si può esprimere liberamente, la Festa della Musica appartiene, prima di tutto, a coloro che la fanno.

www.festadellamusica.beniculturali.it

Il successo fu grande e immediato. Dal 1985, anno europeo della Musica, la Festa della Musica si svolge in Europa e nel mondo. Dal 1995, Barcellona, Berlino, Bruxelles, Budapest, Napoli, Parigi, Praga, Roma, Senigallia sono le città fondatrici dell’Associazione Europea Festa della musica.

Tantissimi i concerti che si svolgono ogni anno, il 21 giugno, in tutte le città. Concerti gratuiti dove dilettanti e professionisti si possono esprimere liberamente: la Festa della Musica appartiene, prima di tutto, a coloro che la fanno.

Questi i principi che ispirano la Festa della Musica e che potete trovare sul sito web del Ministero per i beni e le attività culturali cliccando qui:

La musica è un linguaggio universale che può veicolare messaggi e contenuti di altissimo significato e superare barriere culturali, politiche ed economiche ed è quindi occasione di socialità;


Tutti i generi musicali potranno essere rappresentati, affinché la giornata diventi la festa di tutte le musiche;

Tutti gli artisti, dagli allievi delle scuole di musica ai musicisti di fama internazionale, devono poter trovare una scena nella quale esibirsi;

Le manifestazioni dovranno essere aperte a tutti per favorire, con l’ingresso gratuito, la maggior partecipazione possibile agli eventi musicali.

In Italia la Festa della Musica 2023 con il tema del “Vivi la vita” sarà dedicata, oltre alla particolare attenzione per l’ambiente, alla sicurezza del dopo concerto, con importanti iniziative sul ruolo culturale e sociale della musica attraverso concerti, performance ed eventi.. Per tutte le informazioni rimando al sito ufficiale.

Un’altra data da segnare in calendario è il 22 novembre, giorno in cui viene ricordata Santa Cecilia. Ma questa è un’altra storia e ve la racconto qui: Perché Santa Cecilia è la patrona della musica?



L’immagine di copertina è un’illustrazione di Heng Swee Lim.

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Il valzer, un ballo scandaloso

Se si dovessero elencare dei balli che nel corso della loro storia sono stati proibiti perché ritenuti scandalosi, vengono facilmente alla mente il tango o il rock’n’roll. E immediatamente il nostro immaginario ci riporta alla mente il film cult “Dirty Dancing” (tradotto in italiano con “Balli proibiti”) del 1987 con Patrick Swayze e Jennifer Grey, entrato nella storia del cinema, trainato anche da una colonna sonora storica che ha fatto impazzire milioni di fan in tutto il mondo.

Avreste mai pensato di dover aggiungere a questo elenco anche il valzer? Il ballo romantico per eccellenza la cui melodia rimanda a scenari principeschi e alle atmosfere fiabesche delle sale da ballo della Vienna ottocentesca. Eppure, proprio come avvenne per il rock’n’roll e per il tango, anche il valzer all’inizio della sua storia venne considerato scandaloso, volgare e indecente.

Patrick Swayze Love GIF - Find & Share on GIPHY

Le sue origini sono umili, popolari e controverse: il nome deriva dal tedesco “walzen” che significa “girare”, ed è una danza in ritmo ternario che si diffuse verso la fine del ‘700 in Austria e nella Germania meridionale fino a diventare la protagonista indiscussa del secolo successivo. Si dice derivi dal “ländler” un ballo popolare austriaco caratteristico delle regioni montane, come il Tirolo e la Stiria; altri studiosi invece ritengono che derivi dalla “volta”, un ballo in misura ternaria proveniente dalla Provenza.

All’inizio dell’Ottocento il valzer ebbe una grande presa tra i più giovani come espressione della nascente borghesia, la nuova società che si stava lasciando alle spalle gli antichi costumi aristocratici. Era un ballo simbolo di libertà totalmente diverso nel modo di danzare dagli ingessati balli di corte dove ci si limitava a prendersi per mano in complicate coreografie, come il minuetto. Il valzer era un ballo di coppia che permetteva per la prima volta ai ballerini di stringersi e danzare volteggiando in un vertiginoso abbraccio, una sensazione di libertà assoluta.

Per questo venne osteggiato dagli spiriti più conservatori, era immorale che una coppia ballasse a così stretto contatto. Ne parlò anche Goethe ne “I dolori del giovane Werther” (1774): «Non mi sono mai sentito così sciolto, leggero: non ero più nemmeno un uomo. Avere tra le mie braccia la più adorabile delle creature, farsi travolgere con lei in un turbine, svelti come la saetta, e non percepire più nulla intorno a sé…». Monotono e folle” lo definisce Puskin; una danza che “può inebriare i giovani cuori, far sparire la timidezza e concedere l’audacia di amare” nota Stendhal; Madame de Genlis, istitutrice del futuro re Luigi Filippo di Francia, disse che il valzer avrebbe fatto smarrire qualsiasi fanciulla onesta che l’avesse ballato e nel 1833 un manuale britannico di buone maniere lo sconsigliava alle donne non sposate, perché era «un ballo troppo immorale per le signorine».

Era un ballo troppo immorale per le signorine.

Grazie a questo contatto ravvicinato il valzer permetteva lo scambio di confidenze tra le coppie che ballavano, ne favoriva l’intimità in un ondeggiare sinuoso e travolgente.
Il valzer si diffuse rapidamente in tutta Europa, e in Francia fu Maria Antonietta, la sposa austriaca di Luigi XVI, ad introdurlo alla corte di Versailles e trasformarlo nel ballo da sala per eccellenza. L’aumento della popolarità di questa danza deve molto ai compositori austriaci Johann Strauss padre (1804-1849) e Johann Strauss figlio (1825-1899) che trasformarono una semplice danza contadina in opere piene di brio e di musicalità, destinate a un pubblico molto più raffinato.

Ed è proprio Johann Strauss figlio il compositore del valzer per eccellenza, il famosissimo “Sul bel Danubio blu”. A metà Ottocento il valzer era già diventato il re assoluto dei saloni delle classi aristocratiche in tutta Europa, uno dei tanti segnali che i tempi stavano cambiando (a passo di danza!).

Johann Strauss – “Sul bel Danubio blu”
New Year’s Concert 2011 – Vienna Philharmonic Orchestra


Immagine di copertina: Auguste Renoir “Dance at Bougival“, 1882-1883.

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La musica nel cinema, molto più di un sottofondo

La musica è un potente mezzo di comunicazione e, forse, la più potente forma di espressione capace di superare la parola. Di questo ho parlato in precedenti articoli (come Musica, comunicazione e lingugaggio e La musica non è un linguaggio universale), ma cosa succede se questo speciale “potere” della musica viene fuso con un’altra arte come, ad esempio, quella cinematografica? Si può creare un’esplosione di emozioni che hanno una grandissima capacità di imprimersi nella memoria.

La musica nel cinema ha sempre svolto un ruolo fondamentale affiancando le immagini: non è quasi mai solo un commento musicale, ma è un vero e proprio valore aggiunto alla scena. L’uso di una particolare musica abbinata ad un’immagine racconta più di quello che l’occhio ci suggerisce. Può essere di rinforzo alle emozioni, di contrasto a ciò che accade sullo schermo o presagio di ciò che sta per avvenire, con un sorprendente effetto di potenziamento delle suggestioni trasmesse dalla pellicola.

I film, la televisione e i media audiovisivi in generale non si rivolgono solo all’occhio, ma suscitano nello spettatore una specifica disposizione percettiva che si chiama audiovisione.
Una combinazione che si influenza l’una con l’altra:
non si “vede” la stessa cosa quando si sente
non si “sente” la stessa cosa quando si vede

La storia della musica da film è parallela a quella del cinema, si è sviluppata ed evoluta seguendo le tendenze culturali e musicali ed ancora oggi continua ad essere parte integrante e fondamentale della produzione cinematografica. A partire dalle sue origini, dall’epoca del cinema “muto” che iniziò il 6 gennaio 1896 con la celebre proiezione del cortometraggio “L’Arrivée d’un train en gare de La Ciotat” dei fratelli Lumière:

Auguste e Louis Lumière “L’Arrivée d’un train en gare de La Ciotat” – 6 gennaio 1896
(45 secondi di silenzio assordante)


La musica interviene sul visivo rafforzandolo, accompagnandolo, commentandolo e a volte contraddicendolo e svelandone così degli aspetti più profondi. A questo riguardo molto ne ha scritto Michel Chion, il teorico che più di ogni altro ha studiato le funzioni del suono nel cinema, ed è proprio lui a parlare di “valore aggiunto”: “Valore espressivo ed informativo di cui un suono arricchisce un’immagine data, sino a far credere, nell’impressione immediata che se ne ha o nel ricordo che si conserva, che questa informazione o espressione, si liberi naturalmente da ciò che si vede e sia già contenuta nella sola immagine“.

La musica ha il ruolo importante e fondamentale di poter dire quello che la parola o l’immagine non dicono. Svelare dei movimenti psicologici, affettivi che non possono essere detti in nessun altro modo.

Su queste tematiche ho strutturato un corso in 4 video-lezioni che offrirà una panoramica sull’importanza della musica in cinematografia e l’uso sapiente che alcuni registi ne hanno saputo fare. Se volete saperne di più cliccate qui.


Per un approfondimento:
Michel Chion “L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema”, Torino, Lindau, 1997.
Roberto Calabretto “Lo schermo sonoro. La musica per film”, Venezia, Marsilio, 2010.

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Che cos’è la Sociologia della Musica?

La relazione tra musica e società è centrale nell’esperienza dell’uomo ed è stata oggetto d’indagine sin dalle origini della riflessione teorica su questa specifica forma espressiva. La dimensione sociale è ravvisabile a più livelli: dall’esecuzione in pubblico di un brano, visto come momento di coesione tra gli spettatori, alle influenze storiche e sociali che gravano su un’opera in misura diversa relativamente al proprio periodo storico.

Nel corso degli ultimi cento anni ci si è rivolti con sempre maggiore attenzione agli aspetti contestuali del fatto musicale, tanto che oggi lo studio della storia musicale, unito dal punto di vista delle scienze sociali è diventato un fatto acquisito. Alcuni importanti settori della musicologia tendono a sviluppare l’interdisciplinarietà intensificando il legame con altre discipline di studio quali, ad esempio, l’antropologia, la psicologia, la sociologia e la musicoterapia.

La Sociologia della Musica è una disciplina che, a differenza della critica e dell’analisi musicale concentrate sull’osservazione dell’oggetto in sé, tende a focalizzare il suo interesse su problemi legati alla distribuzione, alla divulgazione e alla fruizione:

I sociologi analizzano la “costruzione sociale” delle idee e dei valori estetici, piuttosto che la qualità “intrinseca” degli oggetti artistici.

Marcello Sorce Keller (dal libro: “Musica e sociologia” Milano, Casa Ricordi, 1996, p. 7).

Nell’ambito degli studi socio-musicali ci si occupa di quelle forme e generi musicali che hanno un concreto e forte impatto nella vita sociale attraverso analisi interne ai casi e ai contesti che vi corrispondono. Nell’ambito degli studi contemporanei è il sociologo della musica a studiare i fenomeni legati alla cultura di massa e, in particolare, la popular music: un genere di produzione musicale legato a logiche di produzione e fruizione massificate.

Rispetto all’evoluzione storica e sociale dei rapporti fra mecenati, committenti, impresari, producer, artisti, pubblico e fruitori, interessanti sono i contributi della Sociologia della Musica in riferimento alla differenziazione delle figure del musicista “professionista” e “dilettante”: dal musico che prestava servizio presso le Corti piuttosto che per la Chiesa, fino alla contemporaneità che vede il musicista legato alle logiche del mercato musicale di massa.

Nella modernità si sono imposte nuove situazioni che la Sociologia non manca di analizzare: il nuovo grande pubblico creato dai mass media, totalmente differente a quello che nell’Ottocento era solito riunirsi nelle sale da concerto; la questione del riconoscimento del diritto d’autore e l’istituzione del copyright che iniziarono ad affermarsi a seguito della Rivoluzione Francese e Americana, come attestazione della tutela della proprietà intellettuale di un individuo.

Il contributo dato da Theodor W. Adorno nei riguardi di queste tematiche è fondamentale. Adorno considera la società a lui contemporanea come conseguenza del mito illuministico del progresso, che ha finito per subordinare gli individui ad un processo di massificazione alienante. Motore di questo processo è quella che lui chiama “industria culturale”: un complesso tecnologico-industriale che con i mezzi di comunicazione rende possibile la produzione, la riproduzione e la distribuzione dei prodotti artistici . Secondo Adorno perciò gli strumenti di riproduzione delle opere d’arte, e quindi anche della musica, avviliscono l’arte reificandola e distorcendone il significato.

Questa visione totalmente negativa della condizione della musica nella nostra società moderna non viene però condivisa, ad esempio, da Walter Wiora, che parla di un’attuale “quarta età della musica”, cioè  quella che «unisce l’eredità di tutte le culture precedenti in una specie di museo universale, creando una vita concertistica internazionale, così come internazionali sono gli sviluppi della tecnica, della ricerca, della composizione ecc…, che si manifestano di fronte ad un pubblico anch’esso mondiale».

Appare evidente come la Sociologia della Musica non sia da considerarsi una disciplina in senso stretto, quanto piuttosto un campo di studio. Si parla a questo proposito di:

Natura duale della sociologia musicale: ricerca empirica da un lato, riflessione filosofica dall’altro.

Marcello Sorce Keller
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Sono davvero necessarie tutte queste dirette?

Un titolo provocatorio per un articolo diverso dal solito, un momento di riflessione sul particolare momento che stiamo vivendo. In piena emergenza Coronavirus e chiusi in casa dalla quarantena, il mondo si è reso conto delle possibilità che offre il web. E i social network vengono vissuti e utilizzati in modo differente: non più come passatempo invasivo alle normali forme di socializzazione umana, ma come dei mezzi per riuscire a mantenere rapporti sociali anche se “virtuali”.

Le piattaforme virtuali di condivisione globale annientano i rischi di contagio e ci fanno sentire meno soli in questo particolare periodo di isolamento. Ecco il proliferare di film e serie tv in streaming, tour virtuali e centinaia di migliaia di concerti in diretta. Uno degli antidoti al malumore e allo sconforto di questi giorni è ascoltare musica. Il potere terapeutico delle note è attestato da innumerevoli studi e ve ne ho parlato in un precedente articolo: Perché ascoltare la musica ci fa stare bene?

La musica è un momento di svago, evasione, compagnia, ma ha anche il potere di promuovere la salute e il benessere fisico e psicologico. Ecco che i social network come Instagram e Facebook sono diventati dei nuovi palchi virtuali dove si esibiscono sia semplici appassionati, sia i grandi artisti. Concerti casalinghi che danno la possibilità di godere della musica dal vivo direttamente dal divano di casa, in tutta sicurezza.

La parola d’ordine in questo momento è streaming.

Questa nuova modalità di fare e di fruire musica sta tenendo compagnia a tutti gli amanti della musica, vecchi e nuovi, che hanno più tempo a disposizione per ascoltare qualche diretta. Aumenta anche la curiosità di ascoltare qualche artista che in tempi di vita “normali” non avrebbero avuto voglia o tempo di seguire ad un concerto.

Lo streaming quindi è un alleato del nostro tempo? E la musica che ruolo ha in tutto questo?

Quando potranno durare questi concerti in streaming per non diventare poi un surrogato della normale performance dal vivo? O possono invece diventare un alleato per il futuro? Magari immaginando nuovi modi di fare musica sfruttando l’enorme potenzialità che questi palchi virtuali offrono: dal un lato raggiungere un pubblico virtualmente infinito e dall’altro poter assistere comodamente da casa a concerti eseguiti dall’altra parte del mondo.

Dei grandi momenti rivoluzionari per la storia della musica sono stati l’invenzione della radio, del fonografo e poi della musica liquida, che hanno cambiato per sempre il modo di concepire l’ascolto musicale. C’è chi dice abbiano lentamente ucciso la voglia di musica, chi invece al contrario che l’abbiano moltiplicata.

C’è il rischio di una disaffezione al concerto dal vivo e il rischio che la musica venga percepita ancor di più come un sottofondo sonoro gratuito, o invece si è amplificata la curiosità e la voglia di andare ai concerti?

Si è forse riusciti a sensibilizzare il pubblico sull’importanza che la musica, le arti e la cultura in generale hanno nelle nostre vite?

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La musica come affermazione della propria identità

In ogni epoca il fare musica può essere considerato come un collante di gruppo: nei campi di cotone, nelle risaie, nelle marce degli alpini, a Woodstock, ai concerti dei Beatles, nei rave: la musica è il collante di un’identità.

Ascoltare, ballare o suonare un certo tipo di musica è un modo per affermare la propria identità e sentirsi parte di una collettività come può essere la scelta di quali abiti indossare, che mezzo di trasporto usare o quali letture fare.

La Sociologia della Musica ha studiato come l’esperienza musicale svolga un ruolo importante nella formazione e nell’affermazione di identità individuali e collettive. Nel corso della nostra esistenza sviluppiamo un senso di appartenenza ad un determinato luogo, nazione, religione, parte politica, gruppo d’età, classe sociale… Sono forme di identità che la musica, attività sociale per eccellenza, aiuta a determinare, e alle volte anche ostentare, caricandole di un valore simbolico profondo ed efficace.

Il musicologo e sociologo Marcello Sorce Keller afferma che: «L’attività del far musica, i nostri gusti nel produrla, nell’ascoltarla, le nostre scelte di partecipare con altri ai riti a cui essa dà sostanza, costituiscono un ulteriore modo di chiarire a noi stessi e a chi ci osserva chi siamo (o perlomeno chi pensiamo di essere o desideriamo essere), con chi ci identifichiamo e con chi invece non desideriamo confonderci».

La musica, il far musica pertanto, è un’attività che, al tempo stesso, ci accomuna a qualcuno e ci separa da qualcun altro, sempre e ovunque.

Marcello Sorce Keller

Per trovare degli esempi non occorre andare molto lontano nel tempo, se ne possono ritrovare facilmente molti nel corso della storia del Novecento. Negli anni Cinquanta il Rock’n’Roll fu il primo caso in cui un genere musicale venne usato da un’intera generazione di ragazzi quasi come una bandiera e un mezzo per dare voce alla rottura con i valori della società dei loro padri.

Il Rock’n’Roll dall’America si diffuse poi in tutta Europa e formò una sottocultura giovanile che scelse a simbolo della propria identità quella particolare musica, anche se proveniva da un altro continente. Questo è un esempio di come si possa formare un “sound group” di persone che sceglie di adottare una certa musica come stile di vita per i valori che in essa vede rappresentati. Così accade oggi con generi musicali come la Trap, l’Indie Rock, il K-Pop e molti altri che fanno presa sulle giovani generazioni, ma che non catturano tutti coloro che a quegli ambiti appartengono.

La musica Classica europea, per secoli dominata dalla Chiesa e privilegio delle corti aristocratiche, nell’Ottocento è diventata un rito sociale appartenente alla borghesia. Le canzoni di una patria lontana invece mantengono vivi il sentimento di appartenenza degli emigrati; gli inni nazionali, le marce militari, le canzoni di protesta e i canti religiosi sono altri facili esempi. Mantenendo sempre validi altri generi musicali ormai classici e le loro relative differenti identità come Jazz, Blues, Pop, Rock, Punk, Metal. Ognuno nel tempo ha creato determinate sottoculture portatrici di specifici valori i cui fan, ieri come oggi, si sentono accomunati.

La propria identità sociale non è però fissa e univoca, si può far parte contemporaneamente di diversi gruppi sociali all’interno dei quali ci sono diversi gusti e generi musicali; poi si cresce e anche l’età e l’evoluzione personale contribuiscono alle scelte musicali. Insomma, quasi nessuno ama solo e per sempre un unico genere musicale.


Per un approfondimento:
Marcello Sorce Keller «Musica come rappresentazione e affermazione di identità». In: Tullia Magrini (a cura di), Universi sonori: Introduzione all’etnomusicologia, Torino, Einaudi.

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Voyager Golden Record: la playlist che viaggia nello spazio

A miliardi di chilometri di distanza dalla Terra una speciale playslist si sta dirigendo verso nuovi ascoltatori.  Se una civiltà aliena incontrasse i veicoli spaziali Voyager 1 o Voyager 2 troverebbe al loro interno il Voyager Golden Record, un disco contenente – tra altre cose – la musica di Bach, Mozart, Beethoven, il gamelan indonesiano, i canti Navajo, “Johnny B. Goode” e molto altro…

La storia del Voyager Golden Record inizia il 20 agosto e il 5 settembre 1977 quando da Cape Canaveral furono lanciate due sonde spaziali per fotografare da vicino i pianeti esterni del nostro sistema solare (Giove, Saturno, Urano e Nettuno) e destinate in seguito a uscire dalla zona d’influenza del Sole e continuare il loro viaggio, forse per sempre. Ad oggi sono i primi oggetti costruiti dall’uomo ad aver superato i confini del nostro sistema solare ed essere entrati nello spazio interstellare.

Un progetto degli Stati Uniti d’America capitanato da Carl Sagan (divulgatore scientifico, scrittore di fantascienza e tra i più famosi astronomi, astrofisici, astrobiologi ed astrochimici del Novecento) a cui la Nasa affidò l’incarico di ideare un messaggio da consegnare ad una ipotetica civiltà aliena. Una specie di biglietto da visita che potesse raccontare l’Umanità e la vita sulla Terra.

Carl Sagan progettò il “Voyager Golder Record” un disco in rame placcato oro del diametro di 30 centimetri. Su un lato del disco sono disegnate in forma schematica le indicazioni sul contenuto e le istruzioni per estrarne le informazioni, da leggersi con l’apposita puntina che si può trovare a bordo della sonda. Sulla superficie è stata anche incisa questa frase:

“To the makers of music – all worlds, all times”

Il disco contiene 115 immagini che mostrano le più significative esperienze di vita umane e descrivono il nostro Pianeta e il Sistema Solare, tra cui la spirale del DNA, disegni anatomici, la foto di una donna al supermercato, una mamma che allatta, una famiglia che mangia… le potete vedere al sito ufficiale della Nasa cliccando qui. La sezione audio contiene invece una collezione di suoni naturali, come il rumore del vento, dei tuoni o i versi di alcuni animali; i saluti in 55 lingue diverse (l’italiano parte al minuto 1 e 54 secondi e dice “tanti auguri e saluti”); un messaggio del presidente Carter e del segretario generale delle Nazioni Unite dell’epoca, Kurt Waldheim e poi… 90 minuti di musica.

Questo è un regalo di un piccolo e distante pianeta, un frammento dei nostri suoni, della nostra scienza, delle nostre immagini, della nostra musica, dei nostri pensieri e sentimenti. Stiamo cercando di sopravvivere ai nostri tempi, così da poter vivere fino ai vostri.

Jimmy Carter, Presidente degli Stati Uniti d’America

La selezione musicale è alquanto bizzarra e curiosa: contiene una ideale rappresentazione di tutte le musiche del mondo. Vi riporto la lista dei 27 brani:

  1. Bach – Primo movimento, Concerto brandeburghese n. 2 in Fa
  2. “Puspawarna” (“Tipi di fiori”), gamelan dell’isola di Giava
  3. Percussioni senegalesi
  4. Canzone dell’iniziazione delle donne pigmee
  5. “Morning Star” e “Devil Bird”, canzoni degli aborigeni australiani
  6. Lorenzo Barcelata e i Mariachi Messicani – “El Cascabel” 
  7. Chuck Berry – “Johnny B. Goode”
  8. Canzone della casa dell’uomo, canto della Nuova Guinera
  9. Goro Yamaguchi – “Tsuru No Sugomori” (Giappone)
  10. Bach – “Gavotte en rondeaux” dalla Partita n. 3 in Mi maggiore per violino
  11. Mozart – Aria della Regina della Notte, da “Il flauto magico”
  12. “Tchakrulo,” coro dalla Georgia
  13. Daniel Alomìa Robles – “Condor Pasa”
  14. Louis Armstrong and his Hot Seven – “Melancholy Blues”
  15. “Mugam”, cornamusa dall’Azerbaigian
  16. Stravinsky – Danza sacrificale da “La sagra della Primavera”
  17. Bach – Preludio e fuga n. 1 in Do maggiore da “Il clavicembalo ben temperato, libro II”
  18. Beethoven – Sinfonia n. 5, Primo movimento Allegro con brio
  19. Valya Balkanska – “Izlel je Delyo Hagdutin” (Bulgaria)
  20. Canto notturno degli Indiani Navajo
  21. Holborne – “The Fairie Round” da Pavans, Galliards, Almains and Other Short Airs
  22. Musica dalle Isole Salomone
  23. Canto matrimoniale dal Perù
  24. Bo Ya – Liu Shui (“Flowing Streams”), Cina
  25. “Jaat Kahan Ho”, raga indiano
  26. Blind Willie Johnson – “Dark was the night, cold was the ground”
  27. Beethoven – Cavatina dal Quartetto n. 13 op. 130 in Si bemolle

Delle scelte che inevitabilmente hanno fatto discutere, ad esempio non è presente nessun compositore italiano. I contenuti del Voyager Golder Record sono stati facilmente criticati per dare messaggi confusi: i 55 saluti ascoltati così uno dopo l’altro posso dare l’idea di qualcosa di ingarbugliato (per alcuni potrebbe quasi sembrare una lite tra diverse persone), come quelle 115 immagini più disparate unite ai suoni della natura e ai versi degli animali.

Ciò che stupisce è la grande e vasta presenza della musica. Immagino il fortunato alieno di una galassia lontanissima alle prese con questo strano aggeggio: di sicuro penserebbe che la musica (o quantomeno quei 90 minuti di armoniose frequenze) abbia una grande importanza per questa lontana civiltà. E infatti non è forse così? Tra l’altro hanno scelto di inviare il nostro messaggio proprio su un disco!

La navicella potrà essere trovata e la registrazione visualizzata solo se esistono civiltà avanzate che viaggiano nello spazio interstellare. Ma il lancio di questa bottiglia nell’oceano cosmico è un messaggio di grande speranza circa la vita su questo pianeta.

Carl Sagan

È un messaggio forte, che nel bene o nel male, fa riflettere. Anche se dobbiamo inevitabilmente mettere in conto che il nostro alieno potrebbe non riuscire a decifrare il messaggio, oppure potrebbe non possedere il senso dell’udito o le onde sonore potrebbero non espandersi nella sua atmosfera. E anche se riuscisse ad ascoltarci, che idea potrebbe farsi di tutta questa diversa vastità sonora, musicale?

Qui non si tratta di scegliere i 10 dischi preferiti da potare su un’isola deserta, voi che playlist avreste fatto per il Voyager Golden Record?

Qui il contenuto audio del “Voyager Golden Record”.
Al minuto 21:44 inizia la sezione musicale



In occasione del 40esimo anniversario del lancio è stata pubblicata un’edizione speciale del Voyager Golden Record in 3 vinili e un libro dove viene presentata la sua storia. Lo potete acquistare cliccando qui.

Sul sito ufficiale della Nasa https://voyager.jpl.nasa.gov/ potete trovare tutte le informazioni sul viaggio delle due sonde spaziali Voyager, la descrizione dettagliata dei contenuti del Voyager Golden Record e la storia della sua realizzazione.

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Pitagora: la musica, la matematica e l’Armonia delle Sfere

Pitagora lo conosciamo tutti. È uno di quei personaggi importanti che si studiano a scuola e per un motivo o per l’altro non si scordano più. È stato un pensatore, matematico, filosofo vissuto nel VI secolo a. C., nato a Samo venne in Italia e fondò la sua scuola a Crotone. Lo ricordiamo soprattutto per il suo famosissimo teorema, rispolveriamo la memoria: in ogni triangolo rettangolo l’area del quadrato costruito sull’ipotenusa è uguale alla somma delle aree dei quadrati costruiti sui cateti.

Quello che forse viene poco raccontato è quanto le scoperte di Pitagora siano state fondamentali anche in campo musicale. La filosofia pitagorica concepì la musica come elemento che, assieme alla matematica, coinvolge tutto l’Universo. Il concetto di Musica come scienza della ragione e come qualcosa di immutabile è una scoperta da cui prenderà vita, nei secoli successivi, quella che chiamiamo la civiltà musicale occidentale.

Narra la leggenda che tutto cominciò circa 2.500 anni fa nella bottega di un fabbro. Si racconta che Pitagora, durante le sue passeggiate, vi passasse spesso accanto; un giorno prestò particolare attenzione ai diversi suoni squillanti prodotti dai martelli sulle incudini e si domandò come mai alcuni fossero così piacevoli, armoniosi, se accostati tra di loro. Entrò e capì che responsabili dei diversi suoni prodotti erano i diversi pesi dei martelli.

immagine da: Gaffurio “Theorica Musicae” 1492

Pitagora ripeté l’esperimento su un monocordo, strumento composto da una sola corda tesa sopra una cassa di risonanza. Pizzicando la corda si ottiene un determinato suono, Pitagora scoprì che dimezzando corda e pizzicandone la parte dimezzata si ottiene un altro suono che ben si lega con il primo: è lo stesso suono, ma di un’altezza diversa. Pitagora ha scoperto così che con un rapporto di numeri, in questo caso 2:1, si può descrivere un rapporto armonico musicale che oggi chiamiamo intervallo di ottava (è la distanza, ad esempio, tra un Do e il Do successivo).

Pitagora è andato oltre: ha diviso la corda in 3 parti e ha scoperto un altro suono armonico molto importante, l’intervallo di quinta, che è in rapporto di 3:2 (es. distanza tra Do e Sol). Dividendo ancora la corda 4 parti e pizzicandola in un rapporto di 4:3 otteniamo un intervallo di quarta (ad esempio tra Do e Fa)

Utopia Razionale: Pitagora e Mondrian, conferenza tenuta all ...

Pitagora quindi scoprì che i primi quattro numeri interi (1, 2, 3, 4) creano tra di loro rapporti fondamentali e interessanti, trovò le forme universali della consonanza: 2:1 (ottava); 3:2 (quinta); 4:3 (quarta). Oggi sappiamo che questi rapporti tra le note corrispondono alle frequenze, a quell’epoca non si poteva sapere.  Pitagora scoprì i suoni della scala diatonica e molti degli intervalli che ancora oggi governano le regole dell’acustica musicale occidentale.

Inoltre, se sommiamo proprio questi primi quattro numeri (1 + 2 + 3 + 4) otteniamo come risultato 10, il numero “magico” dei Pitagorici che si può rendere graficamente con un oggetto matematico chiamato Tetraktys.

Un oggetto incredibilmente semplice e altrettanto incredibile, venerato dai Pitagorici. Perfetta ed esemplare riduzione del numerico allo spaziale e dell’aritmetico al geometrico. La Tetraktys simboleggiava la perfezione del numero e degli elementi che lo comprendono, era il paradigma numerico della totalità dell’Universo.


L’armonia delle sfere

Profondamente colpito da questo legame tra musica e numeri, Pitagora trasse la conclusione che “il numero è sostanza di tutte le cose” e che quindi tutto fosse misurabile e si potesse descrivere in maniera razionale con numeri interi.

Si poteva così spiegare il moto degli astri, il succedersi delle stagioni, i cicli delle vegetazioni e le armonie musicali. La grande importanza dei Pitagorici è che per primi hanno ricondotto la natura all’ordine misurabile e hanno riconosciuto in quest’ordine ciò che dà al mondo la sua unità, la sua armonia e quindi anche la sua bellezza.

I Pitagorici, scrive Aristotele, vedendo che molte delle proprietà dei numeri appartengono ai corpi sensibili, stabilirono che gli esseri sono numeri, non numeri separati, ma quelli di cui consistono. E perché? Perché le proprietà che appartengono ai numeri risiedono nell’armonia, nel cielo e in molte altre cose.

(Met., XIV, 3, 1090 a 21 sgg.)

Pitagora e i suoi seguaci teorizzarono l’idea di un Universo governato da proporzioni numeriche armoniose che determinavano il movimento dei corpi celesti e le distanze tra i pianeti corrispondevano ai rapporti numerici degli intervalli musicali.

La rotazione dei pianeti nello spazio venne associata ad una sinfonia musicale chiamata “Armonia delle Sfere”: una musica celestiale, bellissima, che le nostre orecchie non riescono più a percepire perché da sempre abituate a sentirla. Un po’ come quando si sta a lungo accanto ad un fiume e ci si abitua al fragore delle acque.

Tutto quanto si svolge nel cielo e sulla terra è sottomesso a leggi musicali.

Cassiodoro (VI sec.)

Di origine pitagorica sono anche le tradizionali associazioni delle sfere planetarie alle sette corde della lira e dei sette pianeti ai sette suoni formati da due tetracordi (due scale composte da 4 suoni) che si uniscono tra loro e coincidono in una nota comune, in origine la corda centrale sulla quale si regolava l’accordatura. A questa nota centrale i pitagorici identificarono Apollo, il dio dell’armonia cosmica, e il Sole al quale, data la sua posizione mediana nell’ordine che si dava all’epoca alle sfere celesti, si attribuiva un’azione di vincolo e di coesione tra i restanti pianeti.

Le proporzioni dell’universo armonicamente riferite al monocordo in un’opera di Robert Fludd (1574-1637)

La rappresentazione pitagorica dell’universo come armonia ebbe molto successo nell’antichità, ne parlarono Platone, Aristotele, Claudio Tolomeo, Cicerone. Fino ad arrivare a Boezio (sec. V-VI d.C.) e alla sua famosa tripartizione della musica:
musica mundana (armonia delle sfere, macrocosmo);
musica humana (armonia interiore, musica dell’anima, microcosmo);
musica instrumentalis (musica strumentale, nel senso che noi comprendiamo oggi). 

A Boezio si deve anche la codificazione delle Arti Liberali che nel Medioevo costituivano i due gradi dell’insegnamento, l’uno letterario (Trivium) e l’altro scientifico (Quadrivium), e ovviamente la Musica era tra le materie fondamentali della sfera scientifica:
Trivium: grammatica, retorica, dialettica;
Quadrivium: aritmetica, geometria, musica, astronomia.

Anche Dante ne parlò esplicitamente in diversi punti della “Divina Commedia” e nel “Convivio” dove, ribadita l’intima corrispondenza tra i primi sette cieli e le dottrine del Trivium e del Quadrivium, alla Musica è assegnato il cielo di Marte. Per il Sommo Poeta è la relazione più bella dei cieli: essendo complessivamente nove, alla Musica è assegnato il quinto posto, quello più importante e centrale.

E queste due propietadi sono nella Musica: la quale è tutta relativa, sì come si vede nelle parole armonizzate e nelli canti, de’ quali tanto più dolce armonia resulta quanto più la relazione è bella: la quale in essa scienza massimamente è bella, perché massimamente in essa s’intende. Ancora: la Musica trae a sé li spiriti umani, che quasi sono principalmente vapori del cuore, sì che quasi cessano da ogni operazione: sì e l’anima intera, quando l’ode, e la virtù di tutti quasi corre allo spirito sensibile che riceve lo suono.

Dante, Convivio (tratt. 2.13)

Dante Alighieri e Beatrice contemplano l’Empireo
(illustrazione di Gustave Doré)
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La musica sventola Bandiera Gialla

La musica è in quarantena. Stiamo vivendo questo marzo 2020 che passerà alla storia come uno dei periodi più oscuri per la musica e lo spettacolo: tutto chiuso, rinviato a data da destinarsi.

La musica sventola bandiera gialla, come accadeva nei secoli scorsi al tempo del colera: se in un’imbarcazione c’erano dei malati in quarantena si issava una bandiera gialla per dichiarare lo stato di emergenza. Alla larga: appestati a bordo!

Negli anni ’60 pensare al vascello Musica che sventola bandiera gialla non era un paragone così triste come oggi e ha dato lo spunto creativo ad un programma rivoluzionario per giovani che ascoltavano musica da “appestati”. A due grandi nomi della televisione italiana venne un’idea geniale: una trasmissione radiofonica interamente dedicata ai generi musicali di tendenza per le nuove generazioni, all’epoca vietati dalla RAI e dalle trasmissioni nazionali. Erano Gianni Boncompagni e Renzo Arbore, il programma andò in onda per la prima volta il 16 ottobre 1965 su Rai Radio 2, si chiamava “Bandiera Gialla” e iniziò con questo annuncio:

“A tutti i maggiori degli anni 18, a tutti i maggiori degli anni 18, questo programma è rigorosamente riservato ai giovanissimi, ripeto, ai giovanissimi, tutti gli altri sono pregati quindi di spegnere la radio o sintonizzarsi su altra stazione…”.

E poi si alzò il volume del primo brano andato in onda: “T-Bird” di Rocky Roberts. È stato un successo immediato. Uno spazio per “malati di musica” non adatto agli adulti. Una rivoluzione culturale. Ogni settimana venivano proposte 12 novità musicali straniere, soprattutto inglesi ed americane, ma anche nuovi artisti italiani che stavano iniziando a spopolare, era il fenomeno “beat”. Le canzoni venivano votate dal pubblico di ragazzi, presenti e protagonisti alla diretta in studio, e il vincitore era proclamato “disco giallo”.

Rocky Roberts – “T-Bird” (video del 1974)


«Fino al 1965, anno in cui l’Italia riceve il boom che c’era già stato altrove, i giovani semplicemente non esistevano – spiega in questa intervista Roberto D’Agostino che in Bandiera Gialla ha esordito come disk jockey – Impensabile che avessero propri gusti, per giunta in ambito musicale. C’era il bimbo che, ascoltando le canzonette in compagnia dei genitori, aspettava di crescere imitando la madre o il padre. Negli indici di gradimento d’ascolto Rai, lo ricorda Arbore, i diciottenni non erano contemplati. Il loro parere non interessava a nessuno».

Solo in un anno i dischi trasmessi furono 672. “Bandiera Gialla” fu un fenomeno culturale e di costume: i ragazzi per la prima volta si sentivano protagonisti, considerati e non più esclusi dalle normali programmazioni: stava nascendo una nuova categoria sociale. Un programma che ha rivoluzionato anche la produzione e il mercato discografico: era un potente canale di promozione e favorì la pubblicazione e la distribuzione di queste musiche anche in Italia contribuendo ad un aumento di vendite dell’80%.

Oggi come allora, siamo noi Bandiera Gialla!

Gianni Pettenati – “Bandiera Gialla” (1967)