Browsing Category

logica

logica

Gli Dei sono canti: il suono creatore del mondo

Come raccontavo in un precedente articolo, al mondo non esistono culture senza Musica, anzi: è agli albori, nelle culture primitive che ritroviamo l’essenza del suo valore sul piano della sopravvivenza. Le canzoni, i discorsi e le poesie organizzate ritmicamente sono il mezzo di trasmissione più importante delle culture non alfabetizzate. Grazie alla Musica le persone possono esprimersi ed esprimere le loro conoscenze, tessere relazioni sociali.

Musica e Universo sono concetti legati tra loro sin dai tempi primitivi: prima di essere figure e volti, gli Dei furono ritmo e melodia. Marius Schneider, musicologo e mitologo, ha dedicato un’intera vita nel tentativo di ricomporre l’antichissima concezione del cosmo fondata sul suono attraverso una meticolosa analisi dei miti delle più svariate tradizioni, visti innanzitutto come “potenze sonore”. Ne ritrovò le tracce ovunque: in Cina, in Australia, nell’Asia Centrale, in Africa e persino nei capitelli romantici. Questi studi oggi sono raccolti nel libro “La musica primitiva”.

Tutte le volte che la genesi del mondo è descritta con sufficiente precisione, un elemento acustico interviene nel momento decisivo dell’azione. Nell’istante in cui un dio manifesta la volontà di dare vita a se stesso o ad un altro dio, di far apparire il cielo e la terra oppure l’uomo, egli emette un suono. Espira, sospira, parla, canta, grida, urla, tossisce, espettora, singhiozza, vomita, tuona, oppure suona uno strumento musicale. In altri casi egli si serve di un oggetto materiale che simboleggia la voce creatrice. La fonte dalla quale emana il mondo è sempre una fonte acustica”.

Il suono viene quindi inteso come creatore del mondo: nato dal Vuoto, è il frutto di un pensiero che fa vibrare il Nulla e, propagandosi, crea lo spazio. È la prima forza creatrice che in molte mitologie viene personificata da Dei cantori.

La voce creatrice più popolare è forse quella del tuono, ad esempio per i Cheyenne americani Manitù dà origine al mondo per mezzo della voce del tuono e nella Cina antica il tuono segnava l’inizio della vita cosmica. Mentre in Egitto il dio Thot creò il mondo battendo le mani e scoppiando a ridere sette volte, secondo le Upanishad invece il mondo fu generato dalla sillaba “om” che costituisce l’essenza del saman (canto) e del soffio. Anche secondo la religione cristiana Dio durante la Creazione usò il suono della sua voce (nella Genesi: «e Dio disse…»).

Tutto ciò che gli Dei fanno,
lo fanno tramite la recitazione cantata.

Śatapatha Brāhmana

Gli esempi di cui parla Schneider sono tantissimi, questa è solo una breve introduzione. “La musica primitiva” è un libro affascinante, amplia all’infinito la concezione di quello che può essere la Musica. Secondo le religioni il suono è la forza creatrice, che sia un dio o una sillaba o un rumore, in esso è racchiusa la nascita dell’universo e dell’uomo stesso, in esso quindi vi è la sorgente della Vita. Se l’uomo è nato dal suono, la sua essenza sarà sempre sonora: la voce è l’uomo e il canto ne è l’anima, o il veicolo dell’anima. Per questo, ad esempio, il Rg Veda designa il musicista come uno svabhanu, ovvero come un uomo che ha la luce dentro di sé. Di tutti i mortali, il musicista dal canto luminoso è colui che più somiglia agli Dei.

logica

Un computer, un sogno e la musica di Giorgio Moroder

computer smiling


Che cos’è la Musica? Tra le mille risposte possibili, la Musica è anche un mezzo di comunicazione. È un linguaggio. Utilizza un sistema simbolico, un insieme di codici, regole, convenzioni, funzioni sociali che variano e si evolvono a seconda dell’epoca e del luogo in cui viene prodotta.

Come ogni linguaggio non è “universale”, ma bisogna conoscere la sua grammatica per poterlo comprendere. Certo è che la musica non si esprime a parole (se escludiamo i testi e consideriamo la parte puramente strumentale), ma con suoni, tante piccole note che compongono accordi e melodie… Potremmo quasi fantasticare di un mondo in cui sia la musica l’unico mezzo di comunicazione, d’altronde hanno già scritto di un mondo fatto solo di geometria!

Mi è tornato alla mente un vecchio film “Electric Dreams” (1984) di Steve Barron (regista di videoclip di culto come “Take on me” degli A-Ah, “Billie Jean” di Micheal Jackson, “Rough Boy” degli ZZ Top), con sceneggiatura di Rusty Lemorande e musiche di Giorgio Moroder. Una commedia fantascientifica che vede il primo “triangolo amoroso” tra un ragazzo, una ragazza e un computer. Un Cyrano de Bergerac dei nostri giorni dove protagonista è la musica!

Ho sempre amato la musica e il suo rapporto con l’uomo, non soltanto come divertimento, ma anche come mezzo di comunicazione.

Rusty Lemorande

“Ero sulla metropolitana di Chicago quando vidi un bambino che giocava con un piccolo computer parlante invece che parlare con sua madre” ricorda Lemorande. “Sono sempre stato affascinato dalla tecnologia in generale e volevo scrivere una sceneggiatura nell’era dei computer (un’era in rapido sviluppo), inserendo l’elettronica e la tecnologia del computer, esaminando in che modo l’uomo ha creato strumenti in grado di liberarlo per consentirgli una migliore comunicazione con i propri simili, e in che modo poi ha permesso che questi strumenti sortissero l’effetto opposto. Quel bambino in metropolitana mi restò impresso”.

La colonna sonora del film ha pezzi come “Karma Chameleon” e “Do You Really Want to Hurt Me” dei Culture Club, “You Can’t Hurry Love” di Phil Collins, ma soprattutto ha avuto la fortuna di avere delle musiche composte appositamente dal genio di Giorgio Moroder.

Una tra tutte è “The Duel” ed è la protagonista di una delle scene più romantiche del film. Un duetto tra la protagonista, violoncellista, mentre si sta esercitando su un brano di musica classica e il “vicino di casa”, un computer che inizia ad interagire con lei e se ne innamorerà. Ad unire questi due mondi è la musica.

Prima di lasciarvi alla visione di questa scena del film, una curiosità: la melodia portante del brano di Moroder è famosissima, l’avrete sicuramente sentita molte volte. Si tratta del Minuetto in Sol maggiore (BWV 114) erroneamente attributo da sempre a Johann Sebastian Bach, mentre recenti studi hanno confermato che la paternità va al compositore e organista tedesco Christian Petzold (1677 – 1733).

logica

La Musica (non) è un linguaggio universale – parte 2

La Musica è un linguaggio universale? Aggiungo altri spunti di riflessione su questo articolato e complicato argomento. Nell’articolo precedente ho accennato agli studi di Etnomusicologia, disciplina molto affascinante e i cui studi aprono interi universi sonori totalmente alieni a noi occidentali. Ma anche restando all’interno della nostra Europa ci possono essere musiche di cui non conosciamo il codice comunicativo e che non capiamo, fraintendiamo e che alle volte non riusciamo nemmeno a concepire come musica. Schönberg ad esempio:


Al nostro orecchio suona sicuramente più familiare rispetto al canto della tribù del Congo di cui si parlava, ma non credo sia di facile comprensione… e cambiando decisamente registro:

Per il nostro retaggio culturale una musica Rock molto distorta come questa e il genere Black Metal viene automaticamente associato a qualcosa di negativo, ma non è sempre così. Gli Horde infatti possono essere considerati una band “cristiana” (esiste anche una corrente chiamata White Metal o Christian Metal) e hanno causato polemiche e sconcerto all’interno della scena Black Metal proprio perché potatori di testi a favore del Cristianesimo in netta antitesi con i dettami del movimento.

Questi sono degli esempi che portano all’estremo la Classica e il Rock, ma anche restando all’interno del Pop più tradizionale vi sono casi di eclatanti fraintendimenti. Un esempio è “Every Breath You Take” il brano dei Police che nel 1983 raggiunse la vetta delle classifiche mondiali. Suona come una confortante canzone d’amore, in realtà il significato lo ha spiegato proprio Sting: «È una canzone cupa che parla di controllo, gelosia, sorveglianza, ma c’è chi crede che sia un brano romantico e vorrebbe usarla al proprio matrimonio.»
Il testo recita così: “Ogni movimento che fai, ogni promessa che rompi, ogni sorriso che fingi, ogni barriera che innalzi, io starò a guardarti”. Anche una dolce melodia può portare messaggi oscuri.

Un altro caso interessante è “Born in U.S.A” del Bruce Springsteen che racconta con parole feroci e piene di rabbia la triste vicenda di un reduce del Vietnam. Il famosissimo ritornello urlato a squarciagola dal Boss è ormai un inno al patriottismo americano, mal interpretato anche dall’allora presidente Ronald Reagan che disse ad un comizio: «Il futuro dell’America resta nel messaggio di speranza che si trova nelle canzoni di un uomo ammirato da tanti giovani americani: Bruce Springsteen del New Jersey».

Come si diceva ad inizio articolo, la musica sovverte le regole della comunicazione: l’ascoltatore può conoscere il codice con cui è stato composto il brano e a decifrare correttamente il messaggio del compositore, però può anche non conoscerlo e interpretarlo in maniera non corretta o non riuscirci affatto. E può succede anche restando all’interno di una cultura e di un linguaggio condiviso.

logica musica

Le Sirene di Omero. L’incanto del canto, nessun canto.

“Avvicinati dunque, glorioso Odisseo, grande vanto dei Danai, ferma la nave, ascolta la nostra voce. Nessuno mai è passato di qui con la sua nave nera senza ascoltare il nostro canto dolcissimo: ed è poi ritornato più lieto e più saggio. Noi tutto sappiamo, quello che nella vostra terra troiana patirono Argivi e Troiani per volere dei numi. Tutto sappiamo quello che avviene sulla terra feconda”.
(Odissea, XII, 184-191)

Queste sono le sole parole che l’Odissea ci tramanda relative al canto delle Sirene, altro non sappiamo su cosa effettivamente abbia ascoltato Ulisse. Tappate le orecchie dei suoi compagni con cera sciolta al sole, solo lui, stretto da grosse corde sull’albero maestro della nave, ha potuto sentire la soave voce di questi esseri marini. Ma cosa mai avranno potuto cantare queste mitologiche creature di così tanto dolcemente crudele oppure terribilmente soave da indurre in tentazione un uomo così forte nell’animo che già aveva superato ben più difficili prove?

Studiando il rapporto che il mondo greco ha con la Musica scopriamo come nel periodo arcaico dominasse una concezione della musica quale attività di tipo magico-incantatorio e la magia fosse all’epoca un estremo tentativo di controllare le forze naturali che si presentavo all’uomo. Come per molti popoli primitivi (messicani, indù, egizi e cinesi) la musica era lontana da meritare il titolo di “opera d’arte”; essa non rappresenta un fine: è invece un mezzo, una operazione magica, un atto religioso. Nella civiltà greca Orfeo è considerato un dio e tra le sue Muse vi era anche Calliope “dalla bella voce”. I primi musicisti hanno sicuramente cantato per gli dei, non per puro piacere personale, tanto che lo stesso Platone non conosce musica al di fuori della religione, voleva persino che il legislatore si impegnasse a conservare il carattere liturgico alla danza e la canto.

Canto legato al divino e alla magia dunque, difatti le Sirene sono esseri divini. Addentrandoci nel dettaglio della loro genealogia mitologica e iconografia si notano varie incongruenze, che già si palesano nell’etimologia del nome: si può far derivare dal semitico sir “canto magico” oppure da σείριος “incandescente”. Ninfe del mare, sono dette talvolta figlie di Forco, oppure di Acheloo e di Sterpe, in altri casi invece sono ritenute figlie di Tersicore, Melpomene o Calliope, per le loro virtù musicali che le avvicinano alle Muse; altre tradizioni infine le considerano figlie di Gea.

Le Sirene: esseri divini che con il loro canto seducevano (etimologicamente se-ducere “condurre a sé”) i passanti; un canto che al tempo presso i Greci era legato alla magia, all’incantesimo e all’incantare, su queste basi si può ben pensare che non fosse di poco conto il contenuto di tale musica. Ma cosa effettivamente Ulisse abbia sentito non c’è dato sapere, possiamo solamente riflettere su ciò che Omero riferisce: «noi tutto sappiamo» e poco prima «ed è poi ritornato più lieto e più saggio». Quanto meno misteriose queste parole ed è per questo comprensibile che tanto se ne sia scritto e congetturato, al punto da rendere ancora vivo questo mito nel mondo odierno.

Non è un azzardo arrivare al punto di ipotizzare che il tutto (πάντα) da loro conosciuto che avrebbe reso chi le ascoltava più saggio, sia da intendere proprio in senso lato come Tutto ciò che un uomo desidererebbe sapere (tanto da indurre in tentazione anche un eroe scaltro e saggio come Ulisse) ovvero come il Sapere più ampio che conosce tutti i misteri dell’Universo.

Universo e Musica sono legati tra loro sin dai tempi primitivi, in culture dove era presente l’idea stessa di “suono” come substrato dell’universo. Questi concetti bene sono stati esposti da Marius Schneider nel libro dal titolo La musica primitiva (Adelphi, 1992), dove ad esempio si legge che «tutte le volte che la genesi del mondo è descritta con sufficiente precisione, un elemento acustico interviene nel momento decisivo dell’azione. (…) La fonte dalla quale [un dio] emana il mondo è sempre una fonte acustica». Il suono viene inteso come creatore del mondo: «nato dal Vuoto, è il frutto di un pensiero che fa vibrare il Nulla e, propagandosi, crea lo spazio», è quindi la prima forza creatrice che in molte mitologie viene personificata da cantori.

Universo e Suono quindi, suono come portatore di creazione, un suono potente, divino, magico… un suono sorgente della Vita capace di racchiudere i misteri dell’Universo? L’ammaliante canto delle Sirene cosa avrà potuto svelare ad Ulisse sui misteri del mondo?

Per risolvere questo quesito si può ricorrere alle filosofe orientali che su questo fondano la loro religione: l’uomo può trovare le risposte solamente dentro di sé. In nessun modo il mistero dell’esistenza può essere svelato, lo si deve comprendere maturando la conoscenza del Sé. A tal proposito si può citare una frase di Buddha che sembra descrivere ottimamente la μήτις che nell’Odissea scalza il κλέος al cui raggiungimento ha invece dedicato la sua breve vita Achille: “Fra chi vince in battaglia mille volte mille nemici e chi soltanto vince se stesso, costui è il migliore dei vincitori di ogni battaglia”. E sulla tenacia che caratterizza Ulisse, il quale mai ha desistito dal raggiungere la sua meta e a molti affanni ha resistito, si può trovare un parallelo in un insegnamento di Gandhi: “Chi non controlla i propri sensi è come chi naviga su un vascello senza timone e che quindi è destinato a infrangersi in mille pezzi non appena incontrerà il primo scoglio”.

Le Sirene tacciono, lasciano spazio all’introspezione, lasciano alla mente dell’uomo il compito di sciogliere i dubbi che lo attanagliano e trovare in sé la forza di proseguire il suo viaggio. Come scrive Giovanni Pascoli nella poesia “L’ultimo viaggio di Ulisse”, le Sirene sono scogli silenziosi, come dura è la roccia così è difficile scavare nel proprio animo. D’altronde chiaro era il motto Γνῶθι Σεαυτόν (conosci te stesso) scritto sulla pietra del tempio dell’Oracolo di Delfi che per intero recitava: “Uomo conosci te stesso, e conoscerai l’universo e gli dei”. Cosa se non questo potevano urlare nel loro silenzio le Sirene? Silenzio che alle volte assorda, silenzio che indaga, silenzio che può anche far paura.

In conclusione è così che vedo il mio Ulisse: un uomo qualsiasi, non un bellissimo eroe, ma, come lo descrive Polifemo, «un essere piccolo, debole, un uomo da nulla» che non ha compiuto un viaggio verso la salvezza dell’anima, un viaggio iniziatico oppure uno interiore, ma il “semplice” viaggio della vita, con tutto quello che questa affermazione sottintende. Ha chiuso il suo cerchio partendo da Itaca e giungendo a Itaca: fermo nella sua meta, senza mai cambiarla, alla fine l’ha raggiunta. Ha perso la sua identità, è diventato un “nessuno” qualsiasi, ha vissuto mille tentazioni tra le quali raggiungere l’immoralità, ma è riuscito a capire chi era: Ulisse, il re di Itaca. Non era un eroe di battaglia come Achille e non è morto nella gloriosa Guerra di Troia; non era un dio e non ha vissuto da immortale con la splendida Calipso o nella paradisiaca terra dei Feaci.

Lui era Ulisse e come Ulisse è ritornato, ha raggiunto la sua terra e i suoi affetti. Ha pianto, ha sofferto, ha lottato contro mostri, ha visto morire tutti i compagni, si è scagliato contro rocce in balia di mille tempeste, è rimasto nudo e solo, eppure non ha mai ceduto. E lui il canto delle Sirene lo ha ascoltato.

logica

La Musica (non) è un linguaggio universale – parte 1

In un precedente articolo in cui analizzavo la Musica come mezzo di comunicazione, concludevo con una domanda: “La musica è un linguaggio universale?”. La risposta spontanea è un “sì” convinto: la musica viene spesso definita come il collante dell’umanità, qualcosa che ci unisce tutti e permette di comunicare e veicolare messaggi superando barriere linguistiche e culturali.

“La Musica è il linguaggio magico del sentimento” è una delle mie citazioni preferite che esprime l’idea romantica e la potenza comunicativa di questa forma d’arte, e che condivido. Anche se è un ragionamento alle volte semplicistico che si basa sulla visione eurocentrica (o occidentale in generale) che abbiamo del mondo.

  • Se per “linguaggio universale” intendiamo l’universale come qualcosa che è presente in tutte le culture l’affermazione è vera in quanto una forma di espressione umana basata su produzioni sonore esiste in ogni civiltà. Anzi, non esistono culture senza musica come spiegavo in questo articolo citando gli studi di John Sloboda.
  • Se invece come “linguaggio universale” intendiamo una lingua comprensibile a tutti, un mezzo che permette di comunicare scavalcando barriere linguistiche e culturali la questione si fa più complessa.

Nel precedente articolo “Musica, comunicazione e linguaggio” era emerso come la musica sovverta le regole della comunicazione secondo cui il mittente e il ricevente (il compositore e l’ascoltatore nel nostro caso) devono condividere il codice con cui è costruito il messaggio (il brano musicale). Nell’esperienza musicale il ricevente ha un ruolo attivo e indipendente dal mittente: l’ascoltatore può conoscere il “codice” e riuscire a decifrare correttamente il messaggio del compositore, però può anche interpretarlo in maniera non corretta o non riuscirci affatto.

Da queste basi molto teoriche cerco di passare ad esempi più pratici chiamando in aiuto l’Etnomusicologia, la disciplina che studia le musiche del mondo. La musica è un fenomeno complesso ed è portatrice di significati e valori che variano da cultura a cultura: ad esempio la musica strumentale del ‘700 europeo è molto differente rispetto a quella suonata in un villaggio Maori, è quasi “altro”. L’Etnomusicologia si interessa alle musiche relativamente al loro contesto, sia di produzione sia di ricezione, come espressione culturale: deve essere conosciuto il contesto per coglierne il significato.

Come per la parola, come i diversi linguaggi, la musica adopera codici e sistemi musicali diversi a seconda delle culture, comprensibili solamente a chi ha appreso quel particolare linguaggio e incomprensibili a chi non lo conosce.

Ad esempio, cosa siamo in grado di capire da questo ascolto?


Comprensione testuale a parte, è un canto propedeutico alla caccia, un canto rituale per un matrimonio, oppure per un funerale? Bisogna conoscere il contesto e la cultura di questo popolo per coglierne il significato.

Ad esempio, i pigmei Mbenzélé che vivono nella foresta pluviale del Congo considerano le emozioni negative come un disturbo all’armonia della foresta e per questo considerate pericolose. Per la loro cultura la musica ha la funzione di scacciare le emozioni negative: quando un bambino piange, se gli uomini hanno paura di andare a caccia o durante un funerale cantano una musica che possiamo definire “allegra”. E un pigmeo del Congo cosa riuscirebbe a capire seduto in un palchetto de La Scala alla prima della Tosca o tra il pogo di un concerto Rock?

L’Etnomusicologia è una disciplina molto affascinante e i suoi studi aprono interi universi sonori totalmente alieni a noi occidentali. Questi sono solo piccoli spunti per un inizio di riflessione sull’argomento. La questione sull’esistenza o meno degli “universali” in musica è una domanda al limite della metafisica, su cui si discute ancora e che si sono posti molti etnomusicologi. Anche perché bisognerebbe definire quanto “universali” debbano essere gli “universali” per potersi considerare tali.

Una delle teorie più interessanti a riguardo è quella proposta dal filosofo e mistico armeno Georges Ivanovitch Gurdjieff (1877-1949). Secondo Gurdjieff esiste una “musica oggettiva” capace di esercitare effetti precisi e voluti a tutti gli ascoltatori, indipendentemente dalla cultura e dal gusto personale.


Sono studi che si basano su precisi rapporti fra sequenze sonore: particolari stimoli acustici incorporati in un segnale musicale possono generare le stesse risposte emotive. Un semplice esempio: un ritmo incalzante aumenta il battito cardiaco, mentre un andamento lento ha un effetto generalmente calmante.

Concludo con le parole del sociologo Marcello Sorce Keller nel suo saggio “Musica come rappresentazione”, secondo cui la pretesa universalità del fenomeno musicale non risiede nel fatto che le sue manifestazioni locali siano sempre universalmente comprensibili e apprezzabili anche da chi le vive come esterne dalla propria cultura. La musica è da intendersi come fenomeno universale nel senso che ovunque essa si manifesta ha una forte capacità di caratterizzare i gruppi umani. Ogni singola performance articola ed esprime i valori di uno specifico gruppo sociale.

Nessuna performance è mai concepita, alla nascita, per avere un valore universale. La musica è, al contrario, una celebrazione del “localismo” delle genti. Per questo gli etnomusicologi parlano di “musiche” al plurale.

Marcello Sorce Keller

Le musiche sono infatti tutte radicate e ancorate ad un determinato tempo, luogo, vissuto storico e contesto culturale. Continua Sorce Keller: «è molto difficile per chi ascolti musica classica indiana o il gamelan balinese nel proprio appartamento a Milano, con l’aiuto di un riproduttore CD, intuire quale senso queste musiche potessero avere nel contesto in cui nacquero e nell’occasione-funzione per cui erano state pensate. Ma non importa (o, per lo meno, importa fino ad un certo punto). Rimane il fatto straordinario che noi si sia diventati tanto attivi nella nostra capacità di ascoltare, tanto creativi, da imputare a quelle forme sonore che provengono da lontano, nello spazio e nel tempo, un “senso” nostro, risultato della nostra creatività e in quanto ascoltatori che è congruo alle esigenze del nostro vivere da occidentali».

Gamelan Balinese
logica

Tutto è musica, anche il rumore. Basta metterci una cornice?

A meno che non viviate tra le stelle (beati voi!) sicuramente non potete non essere stati colpiti dalla recentissima polemica relativa all’ultima opera d’arte di Maurizio Cattelan (con l’accento sulla a, è padovano): la banana appiccicata al muro con del nastro adesivo. Un polverone mediatico che mi ha fatto tornare alla mente un passo dell’autobiografia di Frank Zappa dal titolo “La cornice”:

«Nell’arte la cosa più importante è la cornice. Nella pittura è letteralmente così, per le altre arti solo in senso figurato, perché senza quell’umile oggetto non è possibile capire dove finisca L’Arte e dove inizi Il Mondo Vero. È necessario metterci un contenitore attorno o altrimenti si direbbe: che cos’è quella merda sul muro?

Se John Cage per esempio dicesse: “Ora metto un microfono a contatto con la gola, poi berrò succo di carota e questa sarà la mia composizione”, ecco che i suoi gargarismi verrebbero qualificati come una sua composizione, perché ha applicato una cornice, dichiarandola come tale. “Prende o lasciare, ora Voglio che questa sia musica”.»

“I’m famous, but most people don’t even know what I do” Frank Zappa

Quindi che cos’è Musica? Come per le altre arti, basta che qualcuno la definisca tale e lo diventa? È una delle grandi questioni che hanno animato le discussioni artistiche da inizio Novecento, si sono scritte intere biblioteche e ci sono interessantissime opinioni di musicologi, sociologi, etnomusicologi, filosofi… Frank Zappa però mi ha ricordato John Cage. Vi parlo di “rumore”: può essere Musica?

Ultimamente si fa un gran parlare della nuova figura dei Sound Designer o Sound Artist: artisti sonori che trasformano i rumori prodotti da oggetti e i suoni dalla vita di ogni giorno in musica. Ascoltano, registrano, campionano e danno voce e musicalità a ciò che comunemente è percepito come rumore.


Viene percepito e raccontato come qualcosa di molto innovativo. Si può arrivare alla sonorizzazione della stazione di Torino Porta Susa, alla creazione di paesaggi sonori campionando i suoni delle macchine del caffè, ad installazioni artistiche che portano la pioggia all’interno di un museo. Qualcosa di futuristico.

Oggi, il Rumore trionfa e domina sovrano sulla sensibilità degli uomini. Questa evoluzione della musica è parallela al moltiplicarsi delle macchine, che collaborano dovunque coll’uomo. Non soltanto nelle atmosfere fragorose delle grandi città, ma anche nelle campagne, che furono fino a ieri normalmente silenziose, la macchina ha creato oggi tanta varietà e concorrenza di rumori che il suono puro, nella sua esiguità e monotonia, non suscita più emozione”

Questo è qualcosa di Futuristico! Eppure risale all’11 marzo 1913: è un estratto da “L’arte dei rumori”, uno dei Manifesti del Futurismo scritto da Luigi Russolo che potete leggere per intero cliccando qui. Russolo dà il via al processo di emancipazione del suono e del rumore dalla musica tradizionale e la sua trasformazione in musica, anche se qualche accenno si può ritrovare nella musica classica di fine Ottocento, come i famosi campanacci da mucca nella Sinfonia n. 7 di Mahler.

La visionarietà di Luigi Russolo ha portato alla teorizzazione del “suono-rumore”, delle sei famiglie di rumori dell’orchestra futurista, fino alla creazione degli “intonarumori”.
Il rumore inizia ad essere considerato come suono musicale: concetto che si è espresso in tutta la sua portata rivoluzionaria negli anni Cinquanta, anche grazie alle nascita delle nuove tecnologie come sintetizzatori e registratori.

Cosa sia considerabile come musicale e cosa no dipende dal concetto soggettivo di Musica. In potenza a nulla dell’esistente è preclusa la possibilità di diventare musicale.

Tra gli artisti che più hanno studiato e affrontato queste tematiche spicca John Cage che nel suo testo “Il futuro della musica: il mio credo” (1937) scrive: «Ovunque ci troviamo, quello che sentiamo è in gran parte rumore. Quando lo ignoriamo ci disturba. Quando gli prestiamo ascolto, lo troviamo affascinante (…) Noi vogliamo catturare e controllare questi rumori, usarli non come effetti sonori bensì come strumenti musicali.»

Una chiara ripresa dei concetti espressi da Russolo che porterà Cage a concepire potenzialmente tutto come musica: i suoni del mondo erano musica, anche il battito del cuore poteva essere musica. Cage trovava musicale anche il suono della trafficatissima Avenue of the Americas, la Sesta Strada di New York. Sirene, clacson, lo stridore dei freni, il ritornello dell’autobus che passava con regolarità: “Ma la sente questa musica?” chiedeva.

John Cage è stato un “compositore ed esecutore di musiche avveniristiche” (così lo definì “La Stampa” nel 1959) arrivò ad esempio a comporre opere con cactus secchi raccolti nel deserto (“Child of Tree” del 1975 e “Branches” del 1976) in cui gli strumenti di ogni performer includono uno o più cactus amplificati, insieme ad altri oggetti di origine vegetale o animale.


Nel 1956 John Cage partecipò come esperto di funghi al telequiz “Lascia o raddoppia?” condotto da Mike Bongiorno e vinse 5 milioni di lire. Durante lo spettacolo si esibì in un concerto chiamato “Water Walk” in cui gli strumenti erano: una vasca da bagno, un innaffiatoio, una pentola a vapore, cinque radio, un pianoforte, cubetti di ghiaccio, una pentola a vapore e un vaso di fiori.

Surreale il dialogo tra John Cage e Mike Bongiorno:
B: Bravo bravissimo! Beh, il signor Cage ci ha dimostrato che indubbiamente se ne intendeva di funghi… quindi non è solo un personaggio venuto su questo palcoscenico per fare strambe esibizioni di musica strambissima.
C: Un ringraziamento a… funghi, alla Rai e a tutti genti d’Italia.
B: Arrivederci: torna in America o resta qui?
C: Mia musica resta.
B: Ah, lei va via e la sua musica resta qui: ma era meglio che la sua musica andasse via e che lei restasse qui!

Cage replico la performance “Water Walk” in un famoso programma televisivo americano nel 1960 davanti ad un pubblico tra lo sconvolto e il divertito (potete vederla cliccando qui). Così commentò la critica musicale Laura Paolini:

Arte alta e bassa cominciavano a sentirsi più a proprio agio l’una con l’altra. Tutti videro qualcosa mai visto prima. Tutti si fecero un’opinione. Così si forma un pubblico.

Laura Paolini

La ricerca di John Cage non è solo questo: arriva a concepire la musica aleatoria e a studiare il silenzio, come assenza di rumori e al contempo creatore di musica. Molti altri musicisti e studiosi portarono avanti le ricerche di sperimentazione musicale e non posso non citarvi Brian Eno e i suoi famosi quattro album “Ambient” dal primo “Music for Airports” (1978) al quarto “On land” (1982) una “miscela” di note di sintetizzatore, suoni naturali/animali, alcuni anche ricavati da pezzi di catene, bastoni e pietre.


Theodor W. Adorno conclude la sua “Introduzione alla sociologia della musica” con la frase: «Ma più essenziale che stabilire l’origine dell’uno o dell’altro fatto è il contenuto: come cioè la società appare nella musica, come essa può essere decifrata dal suo contesto».

A nulla di ciò che esiste può essere preclusa la possibilità di diventare una determinante musicale: oggi si può dubitare che l’Universo intero sia un’armonia, ma potenzialmente è musicabile.

Puoi ascoltare questo articolo nella sua versione Podcast cliccando qui.

logica

Musica, comunicazione e linguaggio

La Musica è un mezzo di comunicazione?

Comunicare deriva dal Latino communicare a sua volta derivazione di communis (comune, che appartiene a tutti). La Treccani scrive: “rendere comune, far conoscere, far sapere; per lo più di cose non materiali. Per estens. dire qualcosa, confidare. Quindi anche divulgare, rendere noto ai più”.

Comunicare prevede un’interazione linguistica fra soggetti, grazie alla quale si raggiunge la condivisione di un sapere o di una volontà. È uno scambio reciproco di informazioni tra due o più persone. Come funziona? Il più noto modello di comunicazione è quello teorizzato dal linguista strutturalista Roman Jakobson che ne individua sei componenti fondamentali:

  • MITTENTE: il soggetto che invia una comunicazione ad un destinatario
  • MESSAGGIO: l’oggetto dello scambio comunicativo
  • DESTINATARIO: colui che riceve il messaggio
  • CODICE: il linguaggio attraverso cui viene formato il messaggio che deve essere condiviso da mittente e destinatario
  • CANALE: la connessione tra mittente e destinatario che consente al messaggio di essere comunicato
  • CONTESTO: le circostanze in cui la comunicazione avviene

Il mittente invia un messaggio al destinatario. Per essere operante, il messaggio richiede in primo luogo il riferimento a un contesto che possa essere afferrato dal destinatario, e che sia verbale o suscettibile di verbalizzazione; in secondo luogo esige un codice interamente, o almeno parzialmente, comune al mittente e al destinatario. Infine, un contatto, una connessione fra il mittente e il destinatario, che consenta loro di stabilire e di mantenere la comunicazione.

Per semplificare la spiegazione, si può pensare ad uno scambio di lettere: il mittente “codifica” un messaggio attraverso un codice e al punto di arrivo il destinatario, attraverso lo stesso codice, lo “decodifica” e ricostruisce nella sua mente quello che il mittente ha voluto comunicargli.

Per la Musica come funziona?

Nella Musica il mittente è l’autore? Però la Musica non esisterebbe se non ci fosse l’esecutore, e spesso autore ed esecutore sono due figure distinte. Anche il destinatario è indefinibile in ambito musicale, perché la Musica appartiene a tutti, chiunque la può ascoltare (ricevere) e in modi molto diversi, basta pensare alla sovraesposizione a cui siamo sottoposti nella nostra società attuale.

E il codice? Qual è? È condiviso da mittente e destinatario? Qui si gioca la differenza tra il professionista, il musicista e tutte le possibili differenze di approccio all’ascolto musicale di cui parlavo citando Adorno. Senza contare le civiltà diverse dalla nostra Occidentale di cui non condividiamo i codici musicali. Anche il messaggio è di difficile definizione: se è presente un testo lo si può cercare lì; se si tratta di musica strumentale la situazione è più complessa, anche se possono esserci degli espedienti che rinviano a messaggi universali come un ritmo incalzante, un andamento lento, i differenti timbri degli strumenti etc…

La comunicazione però si realizza solo nel caso in cui vi sia piena condivisione del codice da parte di emittente e ricevente che deve preesistere alla comune esperienza comunicativa. Su questa base come si può parlare di comunicazione musicale? Soprattutto in un’epoca come la nostra dove la musica assume un ruolo di semplice trasmettitore unidirezionale di informazioni, ricevibili a prescindere dalla loro intelligibilità.

Oggi siamo quasi dei soggetti involontari sottoposti ad un sovradimensionamento dell’ascolto a cui spesso è impossibile sottrarsi.  

Questo inibisce la nostra sensibilità musicale che viviamo come un’attitudine latente (nei bambini sorgono esperienze musicali prima della linguistica): la si possiede, ma non si sa di possederla. Possiamo riconoscere e cantare una canzone senza avere nessuna nozione della natura strutturale e compositiva del pezzo.

L’ascoltatore è liberato da possedere competenze musicali, dal condividere un codice (per tornare al modello della comunicazione di Jakobson), e quando ascolta attiva un “processo soggettivo” che vede la musica come un centro neutro, manipolabile.

Questi concetti si rifanno alle teorie, discusse, del musicologo francese Jean-Jacques Nattiez autore di numerosi saggi nell’ambito della musicologia, dell’analisi e della semiologia musicale tra cui “Fondements d’une sémiologie de la musique” (1975) in cui ha applicato i modelli della linguistica strutturale all’analisi musicale utilizzando il modello della “tripartizione semiologica” già elaborato dal semiologo Jean Molino.

È un modello più pertinente per la comunicazione musicale anche se contrasta con quello di Jakobson: il creatore dell’opera (mittente) e l’ascoltatore (ricevente) attivano entrambi un processo di comprensione nei confronti del messaggio che quindi può influenzarne il significato.

Il mittente nell’atto della creazione attiva un “processo poietico” che coinvolge esecutore, compositore e preesiste all’opera stessa. Il ricevente durante l’ascolto attua un “processo estesico” attivo di ricostruzione cosciente o meno cosciente che influenzerà l’oggetto musicale. Il ricevente qui ha un ruolo attivo e indipendente dal mittente nel decifrare il messaggio del compositore (e può riuscirci o meno).

In mezzo ai due processi si pone a livello neutro l’oggetto musicale, l’opera, che può essere analizzata e consumata in totale libertà. Questo va contro le regole della comunicazione secondo cui la condivisione del codice è fondamentale. Anche se non dobbiamo dimenticare che quando parliamo di Musica siamo costretti ad usare un altro mezzo di comunicazione per spiegarla ovvero, come dice Nattiez, creiamo delle sovrastrutture che con la Musica non hanno nulla a che vedere.

La Musica è un sistema simbolico che non rimanda direttamente a oggetti, esperienze e concetti specifici, ma è comunque un insieme di codici dotato di regole, convenzioni, facoltà espressive, funzioni sociali e libertà creativa che variano ed evolvono secondo l’epoca e il luogo.

Alla luce di tutte queste riflessioni chiudo con una domanda: la Musica è un linguaggio universale?

logica

L’uomo ha bisogno della musica?

no music no life musicologica


La risposta è sì. E ve la argomento prendendo spunto da un libro illuminante, non di semplice lettura, ma che vi consiglio caldamente: “La mente musicale” di John A. Sloboda. Si tratta di psicologia cognitiva applicata alla musica che suona complicato e forse poco attraente, ma se dicessi che risponde a domande come: perché la musica è un’espressione così diffusa in tante culture diverse? Perché è capace di suscitare emozioni così profonde?

Il motivo più semplice per cui la maggior parte delle persone ascolta una musica è perché suscita emozioni. Può provocare gioia, rabbia, sollievo, appagamento, puro godimento estetico… Per dirla con le parole di Sloboda: la Musica ha la capacità di elevare il livello della nostra vita emotiva. Ci riesce perché:

La mente umana attribuisce ai suoni un significato per cui la Musica diventa un simbolo per qualcosa che va al di là del puro suono.

John Sloboda

Certo, la Musica non è fondamentale per la vita pratica dell’uomo: la sua assenza non causa un danno alla salute, come ad esempio accade per la mancanza di sonno. Non si tratta nemmeno di restare senza cibo o senza acqua, ma fa parte di quelle attività vitali, non per il singolo, ma per la specie. Sapete che non esistono culture senza musica?

La cultura moderna ha esagerato nell’alimentare il bisogno quasi fisico della Musica che oggi ritroviamo ovunque e dovunque, tanto che ormai il termine “inquinamento musicale” non è una novità. È agli albori, nelle culture primitive che ritroviamo l’essenza del suo valore sul piano della sopravvivenza: le canzoni, i discorsi e le poesie organizzate ritmicamente sono il mezzo di trasmissione più importante delle culture non alfabetizzate. Grazie alla Musica le persone possono esprimersi ed esprimere le loro conoscenze e tessere relazioni sociali.

Oggi la società è cambiata e abbiamo ben altri supporti mnemonici e mezzi di coesione sociale, l’evoluzione non ha aiutato a prendere consapevolezza dell’importanza della Musica razionalmente ed è diventata una presenza “naturale”. È quindi importante ricordare che i nostri istinti per la Musica sono radicati nell’infanzia dell’umanità: le forme musicali che erano disponibili tra gli uomini primitivi (tramite l’uso della voce e del corpo) esercitano un’influenza primaria inevitabile.

La musica è una risorsa umana fondamentale, che ha giocato, e probabilmente continuerà a giocare, un ruolo vitale per la sopravvivenza e lo sviluppo dell’umanità.

John Sloboda

La Musica è un importante sussidio mnemonico per gli esseri umani; può servire per un’ampia gamma di esperienze trascendenti ed estetiche; essere semplice godimento o potente mezzo di coesione sociale.

Conclude Sloboda: «Con tutti i risultati che ha ottenuto, la nostra società occidentale ha comunque in sé un notevole livello di precarietà. È sin troppo facile costruire degli scenari che comprendono la distruzione dei delicati equilibri che conservano le nostre strutture sociali, così complesse.

In tali situazioni, quelli tra di noi che saranno sopravvissuti si troveranno in una società nella quale gli artefatti di quella nostra saranno in larga misura scomparsi. Ancora una volta, saranno soprattutto le risorse che saremo stati in grado di portarci con noi, nelle nostre teste, a formare la base principale dei nostri tentativi per sopravvivere. Le canzoni e le poesie diventerebbero degli strumenti vitali per la memoria collettiva e per la coesione sociale, per costruire una società nuova, e le abilità musicali diventerebbero degli strumenti di sopravvivenza».

logica

Musica, alieni e viaggi nello spazio-tempo


Non è più solo fantascienza, aveva ragione Interstellar: i viaggi nello spazio-tempo sono possibili. Ma non sto parlando di wormhole e altri complicati esperimenti da laboratorio, è tutto molto più semplice e lo facciamo sempre da sempre, senza accorgercene. La Musica è una macchina del tempo! È uno dei suoi superpoteri o una delle sue magie.

Le prime note di una melodia posso portarci all’istante in un luogo lontano nel tempo e nello spazio. Può succedere, ad esempio, di ascoltare distrattamente qualcosa alla radio e ritrovarsi all’improvviso ad una festa dei tempi del liceo, a ridere con un vecchio amico, a vivere un amore. Cambiano i colori, i vestiti, i profumi… siamo altrove. Quando la musica finisce e ci ritroviamo qui e ora, non può essere passato solo il tempo di quella canzone, abbiamo la sensazione di aver vissuto più di quei 3 minuti d’orologio. Abbiamo viaggiato nel tempo? Cos’è successo?

Una risposta affascinante e suggestiva l’ho trovata in questo dialogo tra Stefano Bollani e Igor Sibaldi, si parlava di alieni e di che effetto farebbe la musica ad un extra-terrestre in visita sulla Terra.

Dialoghi tra Alieni con Stefano Bollani, Mauro Biglino, Anne Givaudan, Igor Sibaldi


Dice Sibaldi: «Penso che un alieno sarebbe molto colpito da come la musica modifica la percezione del tempo. Probabilmente il mio alieno ideale avrebbe una percezione del tempo migliore della nostra. Noi abbiamo un’idea del tempo molto discreta, molto suddivisa, e pensiamo che esista un altro tempo, l’eternità, che è solo un assurdo prolungamento del nostro tempo in cui l’orologio andrà avanti per sempre… una noia tremenda!

Invece “eternità” da sempre è un “non tempo” in cui entriamo ogni volta che sentiamo una musica che ci piace moltissimo, anche una canzone. Noi sentiamo una canzone che dura 2 minuti e 28 secondi, quando è finita e vediamo che è durata 2 minuti e 28 secondi questa informazione non ci dice niente. Non era “2 minuti e 28 secondi”, era un altro tempo che invece di procedere sulla linea retta, si allargava.

Immagino che l’alieno, il mio alieno ideale, direbbe: “Ah, guarda! Hanno capito anche loro che esistono altri tempi. Che c’è anche un tempo che si allarga e si contrae. Bravi uomini che se ne sono accorti!».

È davvero solo una suggestione?

logica

Che cos’è la musica?

Che cos’è la Musica? Una risposta potrebbe essere… 42!
Proprio come nel libro “Guida galattica per autostoppisti” di Douglas Adams, dove l’unico modo per rispondere alla “domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto” è attraverso il surreale, il nonsense, il paradosso.

“Questa è sicuramente la risposta. Ad essere sinceri, penso che il problema sia che voi non abbiate mai saputo veramente qual è la domanda.”

Uno sberleffo di trascendenza che va oltre la domanda con ironia, l’unica possibile risposta ad una domanda che “una” risposta non la può avere.

Musicologica è un punto di partenza dopo sette milioni e mezzo di “pensieri profondi”. Amo la musica da sempre. Mi ha affascinato per il suo essere impalpabile, invisibile, eppure così presente come ossigeno nell’aria da non poterne fare a meno. Perché? Lo dovevo capire. E così dopo aver divorato dischi e riviste ho cercato la risposta nella dotta Università di Padova, prima con la laurea triennale in Discipline dell’Arte della Musica e dello Spettacolo e poi con la specialistica in Musicologia e Beni Musicali.
Alla prima lezione del primo corso è stato presentato uno dei testi d’esame: “Che cos’è la musica?” di Carl Dahlaus e Hans Heinrich Eggebrecht. Ero nel posto giusto! Il primo passo verso un mondo che racchiude infiniti universi al suo interno. Uno dei miei libri preferiti.

Che cos’è la Musica? La classica risposta è “la colonna sonora della vita” e poi ossigeno, condivisione, divertimento, svago, compagna di viaggio… Per alcuni la Musica è un lavoro, per altri un linguaggio per costruire nuovi mondi, molti invece a questa domanda non hanno mai pensato.

Una definizione in senso stretto non esiste, perché non esiste “la” musica. È un concetto che anche solo storicamente nella tradizione culturale occidentale è cambiato spesso dall’antichità ai giorni nostri. Pitagora associava la musica a rapporti numerici in cui si manifestava l’armonia dell’universo, per Sant’Agostino era una “scientia bene mondulandi” mentre all’inizio dell’età moderna la pratica musicale rimandava alla sfera delle emozioni; passando per il razionalismo del Settecento e l’irrazionalismo Romantico si arriva alla concezione moderna di linguaggio che dà forma a pensieri musicali.

“La musica non dovrebbe essere solo un idromassaggio per il corpo, uno psicogramma sonoro, un percorso mentale in suoni, ma soprattutto flusso diventato suono della ipercosciente elettricità cosmica”

Karlheinz Stockhausen

Ecco il perché di Musicologica (musica + logica) per cercare di incuriosire, porre le giuste domande e andare alla scoperta della Musica nella sua essenza. Parlare di musica è parlare della società di oggi, del suo rapporto imprescindibile con il pubblico e della loro evoluzione nella storia. Parlare di Musica è parlare di arte, di comunicazione, di evoluzione, rivoluzione, pensiero, progresso. È un mondo che va scoperto cercando con curiosità di ascoltare, osservare, imparare: audio, video, disco.

“Parlare di musica è come ballare di architettura” diceva Frank Zappa.
E allora si dia inizio alle danze!